La palude politica e la crisi strutturale dell’Italia

Di Francesco De Palo

Un paese serio difronte ad una crisi industriale senza precedenti (Alitalia, Air Italy, Ilva tanto per citare i casi più gravi) avrebbe fatto fronte comune per avanzare soluzioni: armoniche, potabili ed efficaci. Invece la politica italiana sta offrendo una delle immagini più scadenti della sua storia.

Il dibattito, pur significativo, sulla prescrizione o sulla legge elettorale, appare stucchevole se rapportato alle emergenze del paese che non cresce e che finisce in fondo alle classifiche europee, superato dalla Grecia.

Le fibrillazioni nella maggioranza ci riportano in una palude, dove ogni mossa è anticamera all’annegamento, mentre sarebbe imprescindibile una navigazione, pur complessa, ma con una rotta ben chiara. Tutti i nodi dei dossier irrisolti stanno venendo pericolosamente al pettine e, sprovvista di misure improntate alla ripresa, l’Italia si sveglia dopo “la droga” del Quantitative Easting di Mario Draghi senza un briciolo di energia per andare oltre quella misura. Certo, soffrono tutti, Germania e Francia comprese: ma l’Italia è strutturalmente più debole, ingrossa costantemente il suo debito e non ha messo in atto una fase per snellire procedure o svilire i propri vizi.

La carenza di personale qualificato che occorre alle imprese non si sconfigge pagando disoccupati per stazionare sul divano: già questo principio doveva essere di monito a quanti pontificavano sul reddito di cittadinanza, che comunque si è abbattuto in modo drammatico sui conti pubblici, già zavorrati da anni di inutile assistenzialismo. Oggi che tutti convergono sul fallimento di quella misura, serve capire che è prioritaria una sterzata per abbattere la burocrazia ed il costo del lavoro, così da incentivare le imprese ad assumere.

Il fatto che manchino clamorosamente una serie di specializzazioni che, ad oggi, sono le più richieste dal tessuto produttivo italiano, la dice lunga sull’afonia che persiste tra università e imprese. Sempre più spesso si annuncia un nuovo dialogo tra formatori e datori di lavoro, ma delle due l’una: o qualcuno mente oppure di quel dialogo si sono perse le tracce. Sfornare avvocati in maniera spropositata rispetto a paesi a noi vicini, come Francia e Germania, senza un bacino vero di utenza, è come produrre gelati al polo nord.

Certo, la giustizia è un tema primario, soprattutto in un paese dove l’attuale sistema pachidermico di tempi e modi dei processi scoraggia investitori, cittadini e imprese. Come è palese anche che l’attuale legge elettorale proporzionale favorisce la frammentazione partitica e quindi rende più probabili i balletti nelle coalizioni, come stiamo osservando in queste settimane. Ma è tutto un déjà-vu, visto che tutti sapevano e tutti (o quasi) continuano a puntare verso un modello non maggioritario.

La stabilità consente ai governi di durare, di mettere in atto i propri programmi con serenità e senza dover cedere un pezzo per logiche di coalizione. Questo è un punto fisso che dovrebbe essere metabolizzato con sufficiente onestà intellettuale, anche perché la cura che serve all’Italia sarebbe altamente impopolare da annunciare e mettere in pratica. Il nostro paese è malato di passatismo, rifiuta la rottura delle rendite di posizione, non ha visto un milimetro di liberalizzazioni visto che è stata l’invasività pubblica a zavorrarlo ulteriormente, foraggiando caste professionali che restano tali, altro che casta dei parlamentari.

E invece di studiare una soluzione armonica, la politica italiana spende il proprio tempo a scendere in piazza contro i vitalizi, contro le opposizioni, contro le caste dimenticando che di questo passo di Italia non ne resterà più per nessuno.

twitter@PrimadiTuttoIta

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