I cosiddetti nuovi aiuti per le libere professioni presentano delle incongruenze su cui sarebbe utile riflettere, non fosse altro per rispetto a quella fetta consistente di partite iva che non presenta grossi numeri di fatturato e che è stata molto colpita sia dalla crisi pandemica, sia da una pressione fiscale che resta proibitiva.

L’esonero dei contributi previdenziali per l’anno 2021 è stato calcolato sostanzialmente sulla base di due requisiti: un fatturato inferiore a 50.000 euro e l’aver subito un decremento del fatturato del 33% nel 2020 rispetto al 2019. Per cui, ad esempio, chi fattura nella normalità tra i 20 e i 25.000 euro annuali ed ha subito un decremento del solo (si fa per dire) 20%, scendendo quindi a 16/20.000 euro annuali non ottiene alcun esonero.
Mentre chi, ad esempio, ha fatturato nella normalità 48.000 euro annuali ma è sceso causa covid a 32.000 ottiene l’esenzione.
Una incongruenza che non tiene conto delle fasce più deboli e certamente più in difficoltà. Inoltre quest’anno per ottenere l’esenzione è necessario presentare apposita domanda presso l’agenzia delle entrate, mentre lo scorso anno i bonus sono arrivati direttamente sul conto corrente dei professionisti. Sia chiaro, nessuna nostalgia dei grillini al governo e delle relative politiche. Ma sarebbe grave se il nuovo corso non tenesse sufficientemente in considerazione una categoria, quella dei liberi professionisti, che da tempo naviga a vista e la cui tassazione è oggettivamente sproporzionata.