Sì al buongiorno: ecco la (vera) buona scuola

socratedi Roberto Menia

Il passato insegna? Sì, tanto, tantissimo. A non commettere gli stessi errori, a migliorare le prospettive future, a non smarrire il proprio bagaglio che ognuno di noi poi si porta dietro per il resto della propria vita. I cambiamenti servono? Sì, ma se portano un valore aggiunto, non se fanno fare mille passi indietro o se, peggio, contribuiscono a smarrire il buono che c’era ieri. La scuola è la base della vita e della conoscenza, terreno fertile su cui costruire società e popolazioni. Il termine insegnante, dal greco dàskalos, ci riporta indietro di millenni. E’colui che ci aiuta a salire i gradini della conoscenza, verso un qualcosa che ci è sconosciuto ma che ci servirà come il pane.

In una scuola di Empoli un preside si è distinto per un’iniziativa che, se ai più può sembrare banale o nostalgica, è invece una pietra miliare dell’educazione civica, la prima materia che si dovrebbe apprendere. Ha scritto in una circolare: “Cari studenti tornate a dire buongiorno” perché va insegnata “anche l’educazione”. Il primo risultato è stato ovviamente sui social, con circa 10 mila condivisioni ma volendo andare al di là dell’aspetto comunicativo, c’è un qualcosa di sottile in questa storia.

Ci insegna che la base della convivenza civile va riconquistata alla svelta. Che non si può inzuppare la nostra vita di spread e pil, quando invece bisogna partire dall’uomo e dall’essere antropos. Che, senza essere retorici o visionari, non ci sarà mente senza civiltà e non ci sarà sviluppo senza comunità. E la comunità parte da un cemento di convivenza, che proprio in quel luogo sacro dove l’Italia fino a qualche anno fa eccelleva, è una nuova scuola. A cosa serve cercare altri terreni da arare se non si ha cura di ciò che la natura ci ha dato? Quel preside di Empoli è stato più utile di mille riforme e di mille ministri, perché ha capito (davvero) da dove ripartire.

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