Non è sufficiente un record mondiale datato 1985 (il primo sistema automatico per la preparazione del caffè) né il fatto che gli ordini non diminuiscano, anzi. La crisi della fabbrica delle macchinette Saeco è figlia di una politica industriale che semplicemente il nostro Paese non ha. Gli olandesi di Philips, subentrati nella proprietà ad un fondo francese, hanno deciso di trasferire in Romania il montaggio, perché lì i costi sono inferiori.
Logica vorrebbe che la politica romana accendesse rapidamente la sirena delle grandi emergenze, dal momento che il caso Saeco non è purtroppo isolato. Invece a Roma non si va oltre due scialbe righe pronunciate nella conferenza di fine anno da Palazzo Chigi. Un po’poco per evitare la destrutturazione di vari pezzi dell’industria nostrana che si stanno inesorabilmente sgretolando.
Alcuni hanno applaudito giorni fa alla cessione agli indiani dello storico marchio Pininfarina: non comprendono come, battere il chiodo dell’indignazione per tali derive, non è ideologia ma buon senso. Un Paese che cede fabbriche non ha più il polso dei prodotti, quindi poco potere contrattuale. Ma è un parlare a sordi.
Per questo sarebbe bello se, simbolicamente, in ogni calza della prossima Befana regalassimo una macchinetta Saeco, “volto” della qualità italiana anche se in mani straniere.