di Claudio Antonelli
In un articolo dai toni sdegnati e sarcastici apparso sul Corriere della Sera di qualche tempo fa: “Emigrare? Diritto per noi, rovescio per gli altri”, il giornalista-scrittore Gian Antonio Stella denuncia una contraddizione logico-giuridica per lui inaccettabile: noi italiani neghiamo agli altri un diritto che invece riconosciamo generosamente a noi stessi. Quale è questo diritto? È il diritto di “emigrare”.
Come possiamo noi italiani concedere a noi stessi il diritto di emigrare mentre neghiamo un simile diritto agli altri? si domanda evangelicamente disgustato il nostro Stella, che già nel passato si è compiaciuto di confondere epoche storiche e popoli, sempre a nostro danno beninteso; come in quel suo capolavoro di compiacimento autodenigratorio che è “Quando gli albanesi eravamo noi…”
Nell’articolo in questione il nostro impagabile Stella, sempre pronto a fare di tutt’erba un fascio, mescola al suo solito italiani e stranieri, confondendo inoltre questa volta l’emigrare con l’immigrare, ossia l’uscire con l’entrare.
Ho dovuto leggere tre o quattro volte il testo di Stella per rendermi conto che le assurdità da me rilevate ad una prima lettura dell’articolo non erano dovute alle mie traveggole, ma alla strana logica di Stella basata su termini e concetti sballati. L’ardita costruzione logica poggia su un testo di polizia del 1952, da lui citato dopo un provvidenziale ritrovamento simile a quello del Graal; testo “che pure riflette un’Italia oscurantista” doverosamente, annota Stella.
Questo testo di polizia riconosce – ci dice – il diritto all’espatrio degli italiani, vale a dire il loro diritto di uscire dal paese ossia di “emigrare”.
Come possiamo allora noi italiani negare questo stesso diritto a chi si presenta ai nostri confini, deciso anche lui ad “emigrare”? si chiede costernato. È un praticare i due pesi e le due misure secondo il nostro ineffabile autore, cavaliere senza macchia e senza paura a favore del Diverso straniero; nato immancabilmente quest’ultimo sotto una buona stella, mentre noi italiani, soprattutto noi italiani emigrati, oggetto di lordure, siamo nati sotto una cattiva stella.
Incredibile ma vero: il nostro acclamato autore confonde l’”emigrare” e l’”immigrare” che lui considera termini sinonimi e quindi interscambiabili. In realtà, chi si presenta alla nostra frontiera o sbarca sulle nostre coste è un “migrante”, “immigrante” o potenziale “immigrato”, poiché desidera “immigrare” in Italia.
E questo diritto non è certo il testo di polizia italiano del ’52 a concederglielo, e neppure gli concede un tal diritto il testo equivalente di polizia che forse esiste anche nel suo paese d’origine (solo nelle democrazie popolari di un tempo, così care ai nostri intellettuali oggi accaniti antipopulisti, esisteva il divieto di espatrio).
L’attuale politica immigratoria italiana, anzi all’italiana, improntata a lassismo, permissivismo e cronico abusivismo, permette ad uno straniero, che sia disposto – previo pagamento – ad affrontare un viaggio in mare su un’imbarcazione di fortuna, di entrare nella penisola senza neppure dover rivelare la propria identità anagrafica o il paese di origine. Vi sono però alcune forze politiche che in Italia contestano questo andazzo. Ed è contro questi “xenofobi-razzisti” che Stella lancia i suoi implacabili strali morali e questa volta anche giuridici.
Prima di dire certe castronerie, Stella avrebbe dovuto documentarsi, sarebbe bastato andare online, su certi principi di legge. Avrebbe così imparato che “The existence of a right to leave does not entail an automatic right to enter other states” = “L’esistenza di un diritto di uscire non comporta automaticamente il diritto di entrare in altri Stati”.
Il che è logico: se io ho il diritto di uscire da casa mia, questo mio diritto di uscire di casa non comporta per me quello di poter entrare nella casa di qualcun altro scelta da me a caso. Il passaporto mi dà, sì, il diritto di andare all’estero per turismo, ma in certi paesi non potrò entrare se non dopo aver ottenuto, prima di partire, il dovuto visto ed aver superato all’arrivo un rapido esame diretto a accertare che io non sia venuto a cercarvi un lavoro. Figuriamoci poi il diritto di “immigrare” in un tal paese…
Posso dirlo: per quanto riguarda l’emigrazione-immigrazione io ho un’esperienza diretta del difficile e lungo processo d’immigrazione.
Quando decisi di espatriare ossia di lasciare il mio paese di nascita e di cittadinanza per andare a vivere altrove, dovetti munirmi di un passaporto italiano. Il che fu facile e anche rapido. Ma non bastava, perché il passaporto italiano mi dava il diritto di uscire dall’Italia e quindi di ritornarvi, ma non mi dava certo il diritto di andare a vivere in Canada, come io avevo in animo di fare.
Dovetti quindi ottenere, da parte dei rappresentanti del Canada in Italia, il permesso di “immigrare” nel loro paese. Il che richiese tempo, con appuntamenti, colloqui, accertamenti, dichiarazioni, firme, fedina penale, visite mediche… Un gran numero di certificati d’ogni sorta, insomma.
Non mi sfiorò mai il pensiero che avrei potuto convincere i rappresentanti del governo canadese in Italia a darmi, senza fare tutte quelle storie che stavano facendo, il permesso di andare a vivere in Canada, ricorrendo alla pseudo logica di Stella: “Voi canadesi mi stupite: da un lato riconoscere ai vostri cittadini il diritto di uscire dal Canada, ossia di emigrare, mentre dall’altro apparite riluttanti a concedermi un pari diritto: il mio diritto di emigrare in Canada. Voi canadesi date prova di una logica ingiusta, perché basata sui due pesi e le due misure.”
Sono sicuro che se avessi fatto un simile ragionamento sarei rimasto in Italia. All’ambasciata canadese a Roma, infatti, mi avrebbero respinto, convinti che se mi avessero dato il permesso di stabilirmi in Canada avrei potuto fare solo danni al loro paese, a causa di questo mio assurdo modo di ragionare.
Non c’è che dire, Stella confonde due diritti ben distinti tra loro: il diritto di uscire dal proprio paese e dopo un po’ o dopo molto di rientravi, e il diritto di essere accettato come residente permanente in un paese di nostro gradimento.
Il nostro giornalista-scrittore vede una gravissima ingiustizia – lo ripeto – in questa che lui denuncia come una “contraddizione” logica e giuridica: da un lato gli italiani riconoscono a se stessi – vedi il testo di polizia del 1952 – il diritto di emigrare, e dall’altro molti di loro – i soliti “populisti”, “razzisti”, “xenofobi – rifiutano agli stranieri lo “stesso diritto”, ossia il diritto di venir a vivere da noi in Italia.
A questa logica un po’ degenere di Stella – basata su una cattiva interpretazione del testo di pubblica sicurezza del 1952 e forse anche della Bibbia – si aggiunge un travolgente ardore ecumenico per il Diverso, purché un diverso straniero. Di qui il “compiacimento autodenigratorio” italiano in cui Stella eccelle e che lo spinge ad esaltare incondizionatamente romeni, zingari e altri soggetti (leggete i suoi libri e i suoi numerosi articoli per credere), cui si contrappone un profondo e costante impulso denigratorio verso quegli italiani, siamo legioni, che, nati sotto una cattiva stella, Gian Antonio considera omofobi, xenofobi, razzisti, antisemiti, populisti, fascisti…
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