I guai della sinistra e il racconto di un’Italia che non c’è

di Leone Protomastro

C’è uno iato che ha dell’incredibile tra ciò che si ascolta e si legge in Italia e ciò che scrive dell’Italia (forse per la prima volta, Draghi escluso) la stampa internazionale. Times, Faz, Le Figaro, Financial Times, Economist hanno tutti messo l’accento, con sfumature diverse, sui primi cento giorni del Governo Meloni e su come la prima premier donna della storia italiana sia riuscita in tre obiettivi: riequilibrare la postura euroatlantica dell’Italia dopo le pericolose sbandate pro cinesi dei governi Conte, con il placet del Pd; tenere a bada il debito pubblico, chiudendo programmi finanziariamente insensati e socialmente pericolosi come il Reddito di Cittadinanza o il superbonus che ci avrebbero consegnati tra le braccia della troika; stimolare l’Ue a cambiare politiche sull’immigrazione, coinvolgendo tutti gli stati membri e non solo quelli di primo approdo (si veda lo scorso Consiglio Ue). 

Un trittico di azioni politiche, armoniche e fortemente determinate che hanno suscitato l’approvazione oggettiva da parte di quella squadra di osservatori sempre pronti a bacchettare l’Italia, vuoi per i conti pubblici, vuoi per la mancata stabilità delle maggioranze, vuoi per l’assenza di coraggio nel portare a termine determinate riforme. 

Beh, di questi elementi non c’è traccia nei media italiani, tutti occupati nel dipingere la visita a Kiev del premier come fallimentare (quando è vero, invece, il contrario); nel definire lo stop al superbonus un pasticcio (quando già Draghi lo aveva smorzato non poco); nel dare troppa importanza alle frasi sconnesse di Berlusconi, mentre la maggioranza ha regolarmente votato tutti i decreti pro-Ucraina e si appresta, se il consorzio europeo lo chiedesse, a inviare anche i caccia a sostegno dell’Ucraina. Altro che dubbi da che parte stare.

Non una parola si sente invece sul Qatargate, su Bibbiano, sulla tragica debacle elettorale che la sinistra ha subito, tanto alle politiche, quando alle regionali e, molto probabilmente, alle prossime europee. Piuttosto viene da pensare che la traversata nel deserto che attende Stefano Bonaccini, coraggiosamente impegnato nelle primarie di un Pd che negli ultimi 20 anni ha perso, come l’intera sinistra, tutte le sue battaglie ideologiche, in primis quella sul lavoro e sulla questione morale cara ai suoi padri fondatori, data la gravosità dello sforzo venga affiancata da fantomatici “guai di Giorgia”, così come vengono epitetati in faziosissime trasmissioni televisive o sulla prima pagina di quei fogli che inneggiavano ai banchi a rotelle o alla forte alleanza con chi, dall’altro lato del pianeta, aveva deciso di conquistare i nostri porti dopo aver distrutto buona parte del settore tessile-manifatturiero grazie ad una concorrena sleale. 

Su cui la cattiva politica che oggi racconta un’altra Italia, che ha governato ininterrottamente pur non avendo vinto le elezioni, non ha vigilato. 

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