Tagli verticali alle risorse (si legga alla voce spending review firmata da Carlo Cottarelli), una contingenza in cui aumentano esigenze e richieste di cittadini in continuo movimento tra Stati, a fronte di un impegno che per quanto riguarda i consolati onorari non viene retribuito. Come cambia il ruolo dei Consoli alla luce delle enormi difficoltà che non solo il vecchio continente ma tutto il globo attraversa? Prima di tutto Italiani ha incontrato per analizzare trend e scenari il prof. Stelio Campanale, Regional Chairman per il South Europe della World Federation of Consul (FICAC), che ha celebrato in questi giorni la propria “First South Europe Conference”, a Bari in Italia.
Essere consoli nell’epoca contemporanea: come si evolve il vostro impegno?
Innanzitutto significa esercitare la propria attività in un momento in cui sono accresciute le aspettative dei cittadini-utenti rispetto ai servizi che dovrebbero essere garantiti dalla pubblica amministrazione. I cittadini, in particolare quelli di democrazie più avanzate, si attendono che i servizi normalmente erogati nel luogo di residenza debbano essere estesi ed assicurati anche al di là del proprio Stato nazionale. Per cui il consolato tende ad essere visto sempre di più non già come un luogo a cui rivolgersi in casi di emergenza, ma sempre di più come un ufficio a cui rivolgersi per il disbrigo di determinate attività burocratiche-amministrative alle quali, abitualmente, si fa ricorso a casa propria oppure per la ricerca di interlocutori con cui avviare relazioni d’affari o iniziative culturali.
Ciò cosa determina, in particolare in tempi di crisi e di spending review?
Un impegno pressoché costante, come lo è per chi svolge attività all’interno del proprio territorio in qualità di funzionario pubblico o ufficiale di stato civile. In un momento di crisi della politica e di fiducia dei cittadini verso le istituzioni, anche il console subisce il clima di generale disaffezione verso l’Amministrazione del “Paese di invio”. Da parte del cittadino-utente si registra una generale insoddisfazione che viene scaricata su di noi, parificati nell’immaginario collettivo ad un apparato inefficiente e costoso. Ma spesso si ignora che chi presta loro quel servizio, che nella loro nazione è assicurato da funzionari regolarmente retribuiti con oneri a carico della collettività, nel caso dei Consoli onorari lo assolve a titolo gratuito; e questo aspetto, purtroppo, non viene apprezzato e sufficientemente considerato.
C’è anche un elemento di carattere sociale quindi?
La crisi con le sue difficoltà porta un’ulteriore insoddisfazione da parte del pubblico, per cui anche noi veniamo equiparati a quei soggetti che si ritengono responsabili di tale situazione.
Meno ambasciatori e più consoli: un onore, o solo più oneri?
La spending review ha fatto sì che, da un lato si riducesse sempre di più il numero dei funzionari consolari di carriera, i cosiddetti consules missi, aumentando quello dei consules electi ovvero scelti dagli Stati per poter prestare determinati servizi a titolo onorario, dall’altro, specie per le economie più deboli, si sopprimessero, attraverso l’accorpamento con quelle ubicate in altri Paesi, oppure sostituendole con uffici consolari, sedi di Ambasciate. La circostanza che gli Stati abbiano sempre più occasioni di confronto in consessi internazionali, come Nato, Onu, Ue, Wto, fa sì che ci siano sempre più incontri al vertice tra chi materialmente guida la politica estera nazionale. In conseguenza di ciò si sono ridotte sensibilmente le occasioni di intervento ed il coinvolgimento degli Ambasciatori, proprio perché le istanze del Paese rappresentato vengono manifestate in altri contesti in cui si negoziano, ad esempio, i passaggi preparatori di negoziati o trattati.
Minor necessità di ambasciatori uguale maggior necessità di consoli?
Sì, dovuta al fatto che in realtà quella porzione di politica estera che si estrinsecava attraverso il ruolo degli ambasciatori si è ristretta, mentre la funzione di servizio ai cittadini è aumentata, anche in conseguenza dell’accresciuto numero di adempimenti burocratici. Per cui il console che si occupa di attività amministrative e burocratiche ha oggettivamente un impegno maggiore, anche in virtù del crescente fenomeno della mobilità della popolazione mondiale – non intesa come migrazione, ma mobilità di persone – che viaggiano da uno Stato all’altro, stabiliscono la propria residenza in un’altra nazione, contraggono matrimoni con stranieri, intraprendono attività economiche oltreconfine. La globalizzazione, accanto a spostamenti veloci e meno cari, quindi più facili, fa sì che inevitabilmente cresca la domanda di assistenza da parte delle Autorità consolari, comportando la necessità che si incrementi il loro numero.
La circostanza che alcuni Stati abbiano abdicato alla politica internazionale come si intreccia con tali valutazioni?
E’ il caso della politica estera europea, che ha nominato un rappresentante ad hoc, ovvero un soggetto che svolge il proprio ruolo a beneficio di tutti gli Stati membri. Ciò a maggior ragione ha ulteriormente circoscritto il ruolo degli Ambasciatori. Al contrario, sopravvivono, anzi piuttosto si rafforzano, le esigenze di favorire scambi ed attività commerciali internazionali, la cooperazione fra Stati e la promozione di eventi culturali, attività in passato curate dagli addetti culturali o commerciali delle Ambasciate. Tutto ciò oggi finisce per ricadere, in buona parte, sulle spalle dei consoli, di carriera oppure onorari, la cui dotazione è rimasta immutata al contrario delle aumentate esigenze.
La diplomazia sempre più al centro della geopolitica alla luce dell’attualità: dove ha fallito nel caso dell’Isis e delle sanzioni a Mosca?
La diplomazia è un’arte che si sviluppa fondamentalmente allorquando c’è la necessità di far dialogare Stati o organizzazioni internazionali o sovranazionali riconosciute. L’Isis di per sé non è un interlocutore costituito come tale, non è riconoscibile, non è governata da uno Stato né eterodiretta così come si usa dire per la Repubblica Nord di Cipro o per le autoproclamate Repubbliche indipendenti all’interno del territorio ucraino che hanno alle spalle altri Paese (la Turchia nel primo caso, la Russia nell’altro, ndr.). Diventa complicato, quindi, per la diplomazia intraprendere e gestire un rapporto con l’Isis. Avrebbe potuto avere, invece, un ruolo significativo per riuscire a creare un “cordone sanitario” di più Paesi attorno all’Isis. Ma la diplomazia ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi ritmi, lavorando sotto traccia.
E invece?
Con i ritmi dei media moderni la diplomazia ha difficoltà a lavorare perché è superata dall’invasività dei mezzi di informazione, che spesso costringono gli intervistati, figure apicali dei propri governi, a risposte talvolta avventate e non meditate. Mentre da sempre è riconosciuta come un’arte della mente, essendone una sua estrinsecazione, piuttosto che della bocca. Le sanzioni a Mosca sono state inevitabilmente l’unica misura applicabile nei confronti di uno Stato che stava supportando gli insorti che premono per la successione dall’Ucraina. Però la diplomazia non ha avuto possibilità ed il tempo di lavorare a fondo sulle singole sanzioni, cosicché, a mio modesto avviso, si è fatto ricorso ad una terapia d’urto (le sanzioni) per impedire l’aggravamento di una patologia, tralasciandone la cura. La cura all’evento sarebbe potuta essere proprio la diplomazia, che non è riuscita a stemperare l’onta rappresentata dalle sanzioni per un grande potenza quale è la Russia, i cui effetti collaterali non sono stati leniti.
Nel Mediterraneo si sta consumando, nel silenzio generalizzato, l’aggressione turca al gas di Cipro, anche con minacce ad aziende italiane, e con la contemporanea presenza di una fregata russa, sei caccia israeliani, due navi oceanografiche turche e un sottomarino greco: come affrontare diplomaticamente questo nodo?
Sino ad oggi non si è mai utilizzata una dicitura ad hoc per l’occasione: la questione turca. E’ uno dei rari casi in cui una posizione particolarmente strategica, dal punto di vista politico-militare, di uno Stato ha comporta un beneficio immenso; alla Turchia sono perdonati determinati atteggiamenti che ad altri Paese ed in altri contesti non sarebbero mai ammessi. La Turchia ha da sempre rappresentato l’alleato fondamentale dell’Occidente bloccando l’uscita della flotta russa al di fuori dei Dardanelli: il fatto che fosse il miglior guardiano della strategia anti russa della Nato, di cui è membro, le ha permesso di svolgere un ruolo significativo durante la Guerra Fredda. Se non ci fosse stata la Turchia probabilmente oggi l’asse politico, che ancora esiste tra Siria e Russia, sarebbe stato esteso anche ad altri Paesi geograficamente confinanti.
Una specie di bonus a vita?
Chi può dirlo? La Turchia, grande nazione con un passato imperiale glorioso, è stata ed è ancora oggi, anche nei confronti dei Paesi arabi, una base logistico-militare in Medio Oriente, in mancanza della quale anche lo stesso Israele sarebbe stato meno sicuro. Ciò fa sì che la comunità internazionale abbia preferito tollerare determinati comportamenti che talvolta hanno rappresentato una violazione dei diritti di buon vicinato: una delle regole tradizionalmente tipiche del diritto internazionale.
twitter@PrimadituttoIta
[…] 10 novembre 2014 22:550 commentiViews: Tagli verticali alle risorse, una contingenza in cui aumentano esigenze e richieste di cittadini in continuo movimento tra Stati, a fronte di un impegno che per quanto riguarda i consolati onorari non viene retribuito. Come cambia il ruolo dei Consoli alla luce delle enormi difficoltà che non solo il vecchio continente ma tutto il globo attraversa? “Prima di tutto Italiani” nel suo ultimo numero ha incontrato per analizzare trend e scenari il prof. Stelio Campanale, Regional Chairman per il South Europe della World Federation of Consul (FICAC), che ha celebrato in questi giorni la propria “First South Europe Conference”, a Bari in Italia. Secondo Campanale essere consoli nell’epoca contemporanea innanzitutto significa “esercitare la propria attività in un momento in cui sono accresciute le aspettative dei cittadini-utenti rispetto ai servizi che dovrebbero essere garantiti dalla pubblica amministrazione”. I cittadini, in particolare quelli di democrazie più avanzate, si attendono che i servizi normalmente erogati nel luogo di residenza debbano essere estesi ed assicurati anche al di là del proprio Stato nazionale. “Per cui il consolato tende ad essere visto sempre di più non già come un luogo a cui rivolgersi in casi di emergenza, ma sempre di più come un ufficio a cui rivolgersi per il disbrigo di determinate attività burocratiche-amministrative alle quali, abitualmente, si fa ricorso a casa propria oppure per la ricerca di interlocutori con cui avviare relazioni d’affari o iniziative culturali”. Meno ambasciatori e più consoli, in virtù della spending review rappresenta certamente un onore, ma anche più oneri. Secondo il docente di diritto degli scambi internazionali all’Università LUM di Casamasssima (Ba) la spending review ha fatto sì che, “da un lato si riducesse sempre di più il numero dei funzionari consolari di carriera, i cosiddetti consules missi, aumentando quello dei consules electi ovvero scelti dagli Stati per poter prestare determinati servizi a titolo onorario, dall’altro, specie per le economie più deboli, si sopprimessero, attraverso l’accorpamento con quelle ubicate in altri Paesi, oppure sostituendole con uffici consolari, sedi di Ambasciate”. E conclude: “Sopravvivono, anzi piuttosto si rafforzano, le esigenze di favorire scambi ed attività commerciali internazionali, la cooperazione fra Stati e la promozione di eventi culturali, attività in passato curate dagli addetti culturali o commerciali delle Ambasciate. Tutto ciò oggi finisce per ricadere, in buona parte, sulle spalle dei consoli, di carriera oppure onorari, la cui dotazione è rimasta immutata al contrario delle aumentate esigenze”. […]
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