Il codice penale italiano sanziona, da molto tempo ormai, ogni comportamento di sopraffazione, minaccia, bullismo, violenza, prescindendo dalle preferenze sessuali della vittima. In sostanza tali comportamenti sono proibiti sia se inflitti agli eterosessuali sia se diretti ad omosessuali. Di più l’atteggiamento dell’opinione pubblica e del sistema in genere è profondamente cambiato, almeno nelle nostre democrazie, nei confronti di tutti coloro che sono minoritari. Quest’ultimi, infatti, sono considerati meritevoli di un particolare rispetto.
E con ciò sono d’accordo. Ma oggi si esagera, perché grazie al culto quasi religioso del “diverso”, si sono create delle categorie privilegiate al di sopra di oggi sospetto perché riservate ai “moralmente superiori” nei confronti dei quali è ammessa solo la beatificazione. E solo a voler trattare questo tema si rischia il linciaggio morale. Nella categoria dei moralmente superiori, le nostre élites benpensanti, molto impegnate oggigiorno a ben pensare per tutti noi, hanno intronizzato gli omosessuali. E anche i transessuali. Fornendoli della temibile arma accusatoria della “Discriminazione”. Dai giornali: “Michele, il professore che va in classe con gonna e tacchi alti”. Dove? A Trieste. E la reazione? “Gli studenti ridono, i genitori criticano, ma la preside lo difende. Lui rivendica con orgoglio: “Sono me stesso”. Non intendo trattare nel merito la questione dei nuovi tabù, che nella nostra società liberissima, è pericolosissimo toccare.
Voglio solo esaminare l’insufficienza del nostro vocabolario. Trovo strano che mentre tutti, in Italia, denunciano e mettono alla gogna una presunta diffusa e intollerabile “omofobia” – sentimento perverso e atteggiamento deviante da reprimere ben presto anche attraverso il braccio armato della legge – nessuno mai pronunci la parola “omofilia”, che è il suo contrario. Io troverei normale che accanto al termine “omofobia”, usato a bizzeffe per designare questa nuova devianza che a dire il vero non è troppo ben precisata inglobando un po’ tutto, si usasse ogni tanto anche il termine “omofilia” che è il suo opposto.
Come spiegare quest’assenza dei termini “omofilo” e “omofilia” nel vocabolario di chi pur fa uso frequente dei termini “omofobo” e “omofobia”, nuove varianti del male assoluto? Semplicemente perché si teme d’indentificare con troppa chiarezza ciò che tanti tendono a promuovere e che è appunto l’”omofilia”. Attraverso questa omissione si mira a elevare l’”omofilia” a norma, parametro, standard, canone, ed essa quindi non ha bisogno di qualificativi per essere identificata perché appunto costituisce la normalità. In definitiva, l’indifferenza-tolleranza verso i “normali-diversi” e la non etichettatura e non contrapposizione dei cittadini in “omosessuali” e “eterosessuali” non bastano più. Occorre l’”impegno civile” e l’attivismo pro-omosessualità. Non ci si può più rifugiare dietro il “Fate come volete… Le scelte sessuali sono fatti privati…”. O peggio ancora “Io ho amici che so omosessuali ma per me la cosa è indifferente”.
L’indifferenza, la neutralità, la “non partecipazione” non sono più ammesse. Il non interesse verso ciò che gli altri fanno in camera da letto non è tollerato. Occorre l’entusiasmo, la partecipazione, il sostegno, l’applauso, l’ammirazione dell’orgoglio omosessuale, che è l’unico orgoglio ormai celebrato in Occidente. Altrimenti si rischia, appunto, la tremenda accusa di omofobia. Che io, con ogni probabilità, mi sono già meritato.