La triste notizia della scomparsa dell’ambasciatore Bruno Bottai, presidente della Società Dante Alighieri, è l’occasione (mesta) per ragionare sul ruolo e sull’altissimo profilo che l’istituzione da lui presieduta dal 1995, ha rappresentato e rappresenta per la cultura mondiale. L’ente nazionale fu fondato nel 1889 da un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci, e al primo posto delle sue priorità ha avuto la tutela e la promozione della lingua e della cultura italiana nei cinque continenti. Circa un milione e mezzo sono nel mondo le persone che studiano la nostra lingua tra scuole italiane o bilingue, Università e corsi. Il 31,47% di essi è in Europa, seguita dal Sud America con il 18,73% (285mila), dall’Asia e dall’Oceania.
In Australia l’italiano è stato inserito nelle scuole dello Stato mentre la Germania è il primo Paese per numero di studenti, seguono Australia, Stati Uniti, Egitto e Argentina. Significa che il glossario tricolore è sempre meno un suono arcaico e secondario, ma al contrario è stimato dagli Appennini alle Ande, dalla muraglia cinese sino alle cascate del Niagara. Un motivo in più perché amministratori e mass media di casa nostra facciano un serio e franco esame di coscienza: quante volte assistiamo alla dequalificazione della nostra lingua, infestata da inutili (e spesso errati) inglesismi?
In quante circostanze i “feedback” o “le press-conference” sostituiscono congiuntivi corretti e quella sacra consecutio che ci inculcavano al liceo? Troppe.