I veri eroi della Grande Guerra secondo Aldo Cazzullo

cazzullodi Francesco De Palo

“Il Piave? Fu una conquista dei nostri nonni” impegnati a fare ciò che gli riuscì meglio: difendere la propria terra. La penna di Aldo Cazzullo torna a intingersi nella storia del nostro Paese e, dopo Basta piangere e Viva l’Italia, ne La Grande guerra dei nostri nonni (Mondadori) racconta un pezzo di memoria nazionale fatto da mille storie. Quelle che incrociano le vicende delle nostre famiglie con quelle della Nazione a cento anni dal primo conflitto mondiale.

La Grande Guerra vista con gli occhi di un soldato: erano eroi proprio perché senza fanfare?

Preferisco parlare di protagonisti e non di eroi. I protagonisti della Grande Guerra non sono i generali o gli statisti, ma i nostri nonni, che esposero i propri corpi agli orrori del conflitto industriale. E che quando si trattò di andare all’attacco su un monte che magari nessuno fino a quel momento aveva sentito nominare, o di prendere una città in cui mai nessuno era mai stato, batterono il passo. E quando si trattò di difendere la Patria sul Piave, sul Grappa o sul Montello, fecero ciò che i fanti e i contadini sapevano fare meglio: difendere la propria terra.

Quale l’apporto dei contadini-soldati?

Mio nonno era un ragazzo del ’99 e della guerra non parlava mai. Però sapevo che aveva un profondo orgoglio rispetto a ciò che avevano fatto. Quella generazione considerava il Piave un loro capolavoro. Il che non significa che la guerra andasse elogiata, anzi, sarebbe stato meglio non farla: fu un disastro, perché causò una sofferenza che oggi non riusciremmo neanche ad immaginare.

Ma quella guerra l’Italia la vinse.

Sì. Passò dalla possibilità di essere spazzata via alla dimostrazione di essere una Nazione e non solo un nome geografico così come la volevano gli austriaci. Il libro racconta la guerra con gli occhi di chi l’ha fatta.

Come quelli delle donne, vere protagoniste di episodi e impegno?

Non solo i fanti con le loro lettere di guerra inviate alle famiglie, ma anche le donne al fronte: prostitute, spie, portatrici, crocerossine. O quelle che si travestivano da uomo per andare a combattere, quelle che restavano a casa prendendo il posto dei rispettivi mariti nei campi, come dimostra il fatto che la produzione agricola italiana rimase inalterata durante il conflitto. Inoltre duemila donne si iscrissero all’università e andarono al lavoro, così da rompere il monopolio maschile anche nelle catene di montaggio delle fabbriche.

Un evento mondiale con riverberi anche sociali, quindi?

Presero abitudini maschili, come fumare una sigaretta,bere un bicchiere di vino al termine del turno, tagliarsi i capelli come la moda di Cocò Chanel che portò la semplicità: la donna doveva potersi sporcare e rimboccarsi le maniche. Insomma, un pezzo di memoria nazionale raccontato attraverso mille storie, incrociando le vicende delle nostre famiglie con quelle della Nazione.

Come nasce l’ultimo capitolo realizzato su facebook?

Ho aperto una pagina facebook per farmi raccontare le storie dei nonni della Grande Guerra, ricevendo numerosissime mail tutte da donne: tante giovani ragazze mi hanno raccontato la vicenda del loro nonno. Storie bellissime, che ho raccolto in fondo al libro, in cui tutte chiedevano che si parlasse di quel nonno non perché fosse chissà quale eroe bensì semplicemente perché era una brava persona, che amava l’Italia e ci credeva. E che non si riconoscerebbe nel nostro Paese così come oggi è diventato. Penso che la forza morale che i nostri nonni mostrarono cento anni fa in trincea non possa essere stata dispersa. Anzi, dovremmo tentare di ritrovarla.

Oggi quei fanti di ieri non ci sono più: sostituiti da marionette, mercenari, o capitani coraggiosi?

La memoria è un dovere nei confronti dei nostri avi, ma anche dei salvati e dei sommersi. Oggi l’esercito sta nuovamente conquistando prestigio, dopo anni in cui è stato visto come una grana da evitare, si veda la naja, o come una torta da spartire, si vedano le forniture. Le nostre missioni militari di pace sono considerate le migliori al mondo, perché sono capaci di dialogo e rispetto con proporzioni civili. I militari italiani all’estero non bruciano il Corano, né profanano i corpi dei nemici uccisi, in quanto portatori di quella grande cultura cristiana e umanista che compone il grande lascito umanitario dell’Italia al mondo. Da questo punto di vista ho molto rispetto dell’esercito, il che non mi impedisce di sottolineare le grandi responsabilità che la casta militare ebbe nel ’15-’18, quando dimostrò un grande sprezzo della vita umana.

Ovvero?

Alcuni comandanti a volte si fecero uccidere assieme ai propri soldati, o addirittura al posto loro. Come la storia che racconto di un tenente degli Alpini il quale, dal momento che non riusciva a far cessare un attacco sconsiderato contro i suoi, poi massacrati, e mentre dal comando l’ordine era di non ritrarsi, continuò da solo e andò all’attacco immolandosi. In quel modo, e solo in quel modo, cessò l’attacco nemico.

Si deve all’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la ripresa di questo senso laico di appartenenza alla Nazione e alla Patria: quale il suo valore aggiunto, anche sociale, in anni di crisi culturale, valoriale e quindi anche politica?

Ho seguito il settennato di Ciampi quando scrivevo per La Stampa di Torino e devo dire che è stato il primo a iniziare quest’opera di recupero dell’unità nazionale, intesa anche nei suoi simboli. Il Vittoriano, il tricolore, l’inno nazionale dimostrano un lavorìo costante, proseguito poi da Giorgio Napolitano. Intanto in questi anni abbiamo imparato che, in fondo, siamo più legati all’Italia di quanto amiamo riconoscere e che il legame di ognuno di noi con la sua propria piccola Patria – città, paese, regione, dialetti – è la nostra vera ricchezza. Anche perché si tratta di un legame che non è incompatibile con ciò che ci unisce alla Patria comune.

Un conto è il legame con l’Italia-Nazione, un conto quello con il senso dello Stato. O no?

Per quest’ultimo temo dovremo attendere altri cento anni. Continuiamo a sentire lo Stato come “altro”rispetto a noi. Ma il problema è che si comporta spesso in modo tale da confermare il nostro pregiudizio. Già adesso lo sentiamo distante, si può immaginare un secolo fa quando improvvisamente si fece vivo, sradicando i cittadini dalla propria terra e mandandoli a combattere in un luogo in cui mai erano stati prima, facendo sparare loro alle spalle in caso di rifiuto di andare avanti. E passando poi per le fucilazioni, per i prigionieri alle cui famiglie lo Stato vietava perfino di mandare pacchi, facendo morire di fame e di malattie centomila soldati italiani nei campi austriaci. Tutto ciò non ha certo facilitato il rapporto fra cittadino e Stato, che era ed è labile. Mentre il legame con la Patria Italia era solidissimo.

twitter@PrimadituttoIta

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