Usa, il museo nazionale dell’immigrazione? Ad Ellis Island

ellisdi Enrico Filotico

“Caro mio figlio Nel leggere la tua lettera che io ricevetti da pochi giorni mi rallegrai in compag dei tuoi fratello e sorelle sia per la salute che ora tieni sia per la contentezza di saperti tra patrioti tutti brava gente, ma mi fece tanto più Ebrezzo la notizia del fuoco e la perdita di tanta gioventù al punto che al momento che scrivo mi commuove e mi fa pianger al solo pensarci, e per questo io ti raccomando Caro Tumlin, di abitare, dove in tale circostanza tu sii sicuro di salvarti per non aver da fare una fine così dolorosa…”

Così Giovanni Battista Vanzetti nel 1911 scrisse al figlio Bartolomeo, sbarcato a Ellis Island tre anni prima. La storia di Bartolomeo Vanzetti e Ferdinando Sacco è poi nota, i due, anarchici italiani, furono arrestati, processati e giustiziati sulla sedia elettrica negli Stati Uniti degli anni venti, accusati dell’omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio «Slater and Morrill». La storia, per molti italiani passati da Ellis Island, è stata diversa. Su quell’isolotto, posizionato ai piedi della statua della libertà e distante solo poche miglia dalla terra ferma, sono nati i sogni di speranza di tanti italiani stufi della drammatica situazione in patria e pronti a tutto pur di migliorare le proprie condizioni di vita. La storia di Gibbet Island, questo il primo nome dell’atollo, nacque quando il governo statunitense assunse il controllo dei flussi migratori in quegli anni causati dalla rivoluzione industriale che imperversava in America e dalle carestie che avvelenavano il vecchio continente.
Oggi le tratte della speranza sono altre, ma lì, dove centinaia di migliaia di persone vedevano realizzarsi, o infrangersi, i propri sogni, è stato creato un museo. Una sorta di luogo di culto per chi è pronto a rivivere, anche se
solo per poche ore, la quarantena a cui erano costretti i propri avi. Il 20 maggio è stata aperta la nuova ala del museo dell’immigrazione: tante le novità che Stephen Briganti, presidente della Fondazione Ellis Island, ha voluto mettere a disposizione dei visitatori, aprendo i registri a tutti coloro i quali avessero voglia di cercare lontani parenti sbarcati anni addietro negli States. La struttura, in funzione fino al 1954, oggi rappresenta l’unico esempio di museo dedicato interamente ai flussi migratori che hanno interessato gli Stati Uniti.
Dopo la riapertura del 1990 l’isola è stata protagonista di un lungo processo di riabilitazione. In vista dell’inaugurazione dell’edificio sono stati condotti costosi e lunghi lavori di restauro. Oltre cento milioni gli
americani in grado di poter cercare parenti negli archivi digitalizzati messi a disposizione. Dal 20 maggio in coincidenza con il completamento del Peopling of America Center, il già esistente museo di Ellis Island è diventato
ufficialmente il Museo Nazionale dell’Immigrazione.
Intanto i viaggi della speranza verso l’America sono scemati nel corso del XX secolo e le tratte sono cambiate, oggi è il sud dell’Europa terra promessa per i migranti in cerca di nuove possibilità. Ai microfoni di RepTv è stato lo stesso Briganti, presidente della Fondazione Ellis Island, originario di nonni italiani, a commentare la situazione della nostra penisola oggi: “Vuole farmi palare di politica? Mi spiace ma non lo farò, non mi piace – dribbla elegantemente la scomoda domanda e continua – Gli States sono terra storicamente di proprietà dei migranti, voi in Italia non so come farete. Non ci sono le possibilità che c’erano da noi un secolo fa”. Da Ellis Island a Lampedusa, dai dodici milioni di immigrati accolti sull’atollo americano alle centinaia di barche che “scaricano” migliaia di persone ogni notte al largo delle coste del sud Italia.
twitter@PrimadituttoIta

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