La legge n.56 del 7 aprile 2014 sulle città metropolitane, meglio conosciuta come Legge Del Rio, può essere l’ennesima occasione sprecata dalla politica. La corsa alla metropolizzazione delle città, iniziata nel 2012 con il governo Monti, ha uno scopo preciso: ottenere i fondi europei della programmazione 2014-2020 destinati alle city regions e alle smart cities. Saranno 14 le città metropolitane: Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari, Catania, Messina e Palermo. Nel luglio scorso è stato approvato dalla Commissione europea il Piano Operativo Nazionale sulle città metropolitane per 892 milioni di euro, di cui 588 milioni che derivano dai fondi strutturali. Il programma nazionale punta sullo sviluppo urbano sostenibile e sulla mobilità sostenibile.
Il miglioramento dei servizi pubblici, dei servizi digitali e la riduzione dei consumi energetici sono i tre obiettivi principali. Purtroppo però la legge Del Rio ha subito le resistenze delle regioni e delle vecchie provincie, facendo coincidere i territori delle città metropolitane con quelli delle ex provincie, così i fondi saranno utili solo alle città monocentriche come Roma o Torino. Se valutiamo il caso della Patreve (tra Venezia Padova e Treviso) in Veneto, dove l’area centrale di queste tre provincie può essere già considerata metropolitana per concentrazione di abitanti e flussi pendolari, si capisce come la sola città metropolitana di Venezia non risponderà alle esigenze di cittadini e imprese.
In quest’area non c’è discontinuità territoriale tra le tre provincie, e mediamente ogni famiglia è costretta ad attraversare i “confini provinciali” tutti i giorni, dovendo usufruire di servizi non integrati. La città di Venezia, oltre alla zona all’interno della Patreve, avrà anche la zone rurali di Chioggia e Portogruaro, disconnesse territorialmente. Così è stato prodotto l’ennesimo minestrone all’Italiana.