Migranti, debito, Schengen. Da tempo su queste colonne abbiamo avviato il dibattito sul futuro dell’Unione Europea, senza disfattismi, ma con la consapevolezza che enormi cambiamenti stanno attraversando il Vecchio Continente, la cui classe dirigente ha scelto di non scegliere. L’invasione di profughi dalla Siria è stata denunciata da alcuni giornali almeno da un anno, ma solo oggi la Nato invia le navi nel Mar Egeo.
L’Austria ha bloccato l’accesso al Brennero, Fyrom e Croazia non si fanno pregare per il bis e la Grecia resta nella scomoda veste di “lazzaretto d’Europa”. Ieri le urla di aiuto che partivano da Lampedusa, per anni annichilita dall’indifferenza di Bruxelles. Oggi il rischio di una Schengen fatta a pezzi da politiche miopi e partite di giro. Perché si è acceso un fascio di attenzione sul problema solo dopo l’invasione dei profughi in Germania?
Perché se ne parla nell’Ue solo dopo che la cancelliera tedesca ha aperto le frontiere a tutti, salvo poi accorgersi che non si può accogliere tutti senza un preciso piano organizzativo? La lezione di Ellis Island pare non sia servita, se è vero come è vero che un secolo fa migliaia di emigranti vennero accolti ma con attenzione e logistica. E’Bruxelles, con Berlino, che stanno imboccando un vicolo cieco. E questa volta è inutile dare la colpa ai populismi.