La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Il 10 febbraio l’Italia si è fermata, dal 2004 ha il diritto di farlo. E’ un giorno celebrativo: si riporta alla luce una tra le pagine più buie della storia tricolore, quando foiba ha smesso d’essere il termine con cui vengono indicati gli inghiottitoi carsici tipici della regione giuliana.
Padre della legge istitutiva del Giorno del Ricordo è l’onorevole Roberto Menia, impegnatissimo nel portare nei luoghi della cultura il ricordo delle vittime tricolore. Un ricordo articolato, mai banale, da accompagnare nelle scuole perché un reato sarebbe non raccontare cosa veramente accadde negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. le violenze dei partigiani titini, sostenuti da una feroce frangia della resistenza italiana, infoibarono, uccisero e annegarono migliaia di italiani colpevoli solo di essere tali.
“Ogni anno si rinnova per me – ha dichiarato Menia sulle colonne del Secolo d’Italia – l’orgoglio di aver compiuto, con tutto il Parlamento, un grande atto di verità e riconciliazione nazionale. Ora è un giorno che unisce tutti gli italiani nel segno dell’onore e del patriottismo”. L’obiettivo è quello di far crescere gli studenti nel rispetto della loro stessa storia. E’ doveroso il ricordo delle vittime dell’olocausto, verità storica innegabile, al pari delle vittime delle foibe. I terribili scenari che hanno colpito l’italianità nel corso del secondo conflitto mondiale, e negli anni a seguire, hanno il dovere di essere ricordati. Slovenia e Croazia oggi sono un piccolo campionario di tradizioni, usi e costumi italiani. In quelle che furono le aree a tavolino cedute agli stati confinanti. Oggi ancora si parla l’italiano, senza che molte delle nuove generazioni sappia darsene una spiegazione.
Fino al 1960 i comunisti titini furono autori di una pulizia etnica in piena regola, l’obiettivo era eliminare le tracce di italianità dalla Jugoslavia che sarebbe diventata per gli anni a seguire terra di selvaggia dominazione da parte di Tito. Fu la città di Zara a passare tristemente agli onori delle cronache, il simbolo della violenza titina contro la comunità tricolore: gli abitanti furono annegati, lì dove le foibe non c’erano, la città rasa al suolo con 54 bombardamenti e il bilancio finale fu di duemila italiani morti. In questo 2016 le celebrazioni hanno registrato anche un cameo nelle scuole, con oltre alle classiche iniziative, anche due dibattiti a Albano Laziale e all’Università della Basilicata. Ripartire dai più giovani per dare aria a “quell’Italia dimenticata”.
Un dovere.
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