Sessanta chili di qualità contenuti in un involucro di centosessantacinque centimetri, è questo uno dei migliori prodotti made in Italy del XXI secolo. Inventato nella provincia di Pescara, a Manoppello , Marco Verratti oggi non è solo bandiera del calcio italiano all’estero: è l’ultimo genuino baluardo di un’industria che dopo aver sfornato per generazioni fenomeni come Scirea, Baresi, Facchetti, Antognoni, Conti, Baggio e Del Piero, ha abbassato l’asticella allegando il proprio marchio, il tricolore, a prodotti di medio-bassa qualità che all’estero non sono stati graditi, vedi Cassano e Balotelli per credere.
Poi Marco, calciatore genuino dal carisma innato e la classe per diventare il più grande. Innamorato della sua Pescara, al punto che dopo la promozione in serie A del 2012 con le sirene dei grandi club che suonavano forti nelle orecchie, si rivolse al suo presidente con gli occhi gonfi di lacrime ed una richiesta quantomeno bizzarra “Mi faccia giocare anche in Serie A con il Pescara”.
Pescara, una piccola oasi felice appunto. Lì dove il buono del nostro calcio ha avuto la possibilità di crescere, maturare e poi partire, solo quando il processo era finito però. Il buono si diceva, la Pescara di Verratti e dei suoi due gemelli Immobile ed Insigne, guidati da chi il prodotto italiano ha provato sempre a difenderlo: Zdenek Zeman. Nato trequartista Verratti nella stagione della promozione perde circa una ventina di metri in campo, il boemo che vede il calcio come un gioco offensivo non contempla il trequartista nel modulo di gioco e così Marco che dietro le punte dispensava palloni illuminanti viene portato sulla linea mediana perché Zeman di attaccanti fissi davanti ne voleva tre. Nelle sue mani le chiavi del centrocampo e sulla sua schiena il numero 10, la fiducia è tanta e il talentino di Manoppello non la tradisce mai. Verratti è protagonista di una stagione in cui la squadra del Delfino raggiunge la matematica promozione con una giornata d’anticipo grazie alla vittoria sulla Sampdoria, ma i dati sono sconcertanti: 83 punti conquistati con 90 reti segnate, di cui 28 messe a segno dal capocannoniere del campionato e 9 servite dal nuovo regista.
Poi l’estate del 2012: i grandi nomi, i compagni da poter scegliere, le lusinghe e forse le delusioni. Il mercato è frenetico e i nomi si rincorrono. Sembra Sabatini il più vicino all’acquisto del giocatore, il ds della Roma vorrebbe portare nella capitale il centrocampista forte dell’arrivo di Zeman. I giallorossi guidata dagli americani hanno un progetto giovani molto chiaro: fondare la squadra su Marquinhos, Lamela e Verratti, esperienza e amalgama saranno lavoro poi di Zeman. La Juve è una concorrente forte però, tutti gli operatori di mercato sanno perfettamente che si discuteva del miglior prospetto del calcio italiano su piazza.
Giuseppe Marotta sa bene che Verratti è juventino e tifa da quando è bambino i colori bianconeri, nei piani della società di Torino c’è la fede calcistica tra gli argomenti da utilizzare per convincere il 19enne centrocampista. I due club si scontrano a colpi di centinaia di migliaia di euro, cifre effimere per chi partecipa ad aste di questo genere. Una perdita di tempo che costerà cara ad entrambe le società, oltre che a quel prodotto italiano che sarebbe stato davvero bello vedere in Italia con il giallorosso o il bianconero.
Troppo alte le richieste, la Roma allora vira su Bradley e Tachsidis mentre la Juventus decide di spendere 18 milioni per il pacchetto Udinese Isla – Asamoah. Per Verratti il futuro dice altro, dice Francia. Bastano 12 milioni agli sceicchi del Qatar per portare a Parigi l’ennesimo capolavoro italiano: oltre a Michelangelo, Caravaggio e Leonardo, adesso a Parigi è esposto Marco. Opera d’arte contemporanea, il ragazzino con il Paris Saint-Germain firma 156 presenze, 3 reti e 27 assist, 29 volte è protagonista in Champions League e con i colori dei francesi addosso si afferma anche in nazionale giocando 15 volte e mettendo a referto anche una rete.
Marco a Parigi sta bene, ha alzato il suo livello di rendimento e gli sceicchi difficilmente lo lasceranno partire. Oggi sarebbe interessante chiedere a Sabatini, Marotta e tutto il sistema calcio italiano se davvero quei 12 milioni per Marco Verratti erano troppi, considerati i 15 spesi dall’Inter per Alvaro Pereira l’anno successivo o i 9 che finanziò la Juve per Eljero Elia, solo per citarne alcuni.