“Caro mare chiuso ti scrivo”: la missiva al Mediterraneo

albeggi_revolution_mediterraneo_copertina_singola_MEDIAdi Francesco De Palo

Ilaria Guidantoni, perché una lettera al Mediterraneo?

La risposta è duplice. Comincio dal genere scelto, la forma epistolare, che ho deciso con l’obiettivo di rendere più fluido e discorsivo il testo che anche se raccoglie considerazioni filosofiche, storiche, letterarie, politiche e sociali, non intende essere un saggio ma conservare l’approccio narrativo del diario intimo. Inoltre una lettera, come scrivo nell’incipit del libro, presuppone un’apertura, essendo un invito al dialogo ed essendo implicitamente una domanda che presuppone una risposta. Il mio approccio all’indagine della realtà è infatti nel segno del dialogo e soprattutto dell’ascolto, pertanto ho cercato di essere coerente con la concezione della società.

Ovvero?

Non è un caso che la seconda parte del testo sia una raccolta di contributi che disegnano idealmente il giro del Mediterraneo, tra le due sponde, voci del “mare bianco di mezzo”. A tutti gli intellettuali coinvolti, scrittori, giornalisti, registi, fotografi e filosofi è stato chiesto che cos’è per loro il Mediterraneo e cosa significa essere mediterranei dalla prospettiva del proprio Paese o dei paesi ai quali appartengono. Il Mediterraneo non è solo la mia appartenenza – evidentemente questa è la mia prospettiva, di donna mediterranea, prima che fiorentina, italiana ed europea – quanto l’oggetto della conversazione. Il Mediterraneo non è solo un mare ma una pluralità di mari, di stratificazioni di civiltà intrecciate tra di loro, un continente e una regione dell’anima unica. E’ stato la culla della civiltà occidentale, l’origine del monoteismo, il laboratorio delle lingue classiche (greco, latino e arabo) e ancora un mare-lago, chiuso e pertanto luogo ideale per una società aperta.

Cosa chiede ai popoli che si affacciano sul Mediterraneo?

Di ritrovare nella pluralità dell’appartenenza la propria identità più profonda che non può essere “pura”, monocolore, soprattutto in questo angolo di mondo. Il rischio è che se assolutizzate le identità diventino assassine come recita un celebre libro dello scrittore libanese Amin Malouf. E’ importante a mio parere superare le barriere degli stati nazionali che sono una creazione ottocentesca e che ha penalizzato il clima di scambio internazionale sia culturale, sia economico, sia sociale che da nord a sud e da oriente a occidente c’è sempre stato. Il Mediterraneo è certo stato a più riprese anche un luogo di scontro ma soprattutto un chiasmo e un emporio, una dimensione venuta meno che ha reso asfittici anche i singoli popoli.

Il suo rapporto speciale con la Tunisia cosa comporta riflettendo sulle enormi potenzialità della sponda nordafricana?

La riva sud del Mediterraneo, soprattutto quella maghrebina, è ancora più di altre zone mediterranee prima che arabo-musulmana o africana e la storia, anche nei momenti drammatici, ricorda costantemente questa vicinanza in tanti aspetti. La riva settentrionale ha dimenticato o trascurato stagioni passate di scambi e di opportunità a vari livelli. Come non ricordare l’emigrazione che dal Cinquecento ha portato ebrei genovesi e livornesi a rifugiarsi sulle coste tunisine perché sgraditi al vaticano e allo Stato italiano o perseguitati da Isabella di Castiglia in Spagna? O ancora quando gli emigranti eravamo noi, soprattutto i siciliani che però non partivano verso le Americhe o nel nord del Belpaese e nel cuore d’Europa, ma verso la Tunisia e l’Algeria: pescatori di coralli e spugne, fabbri, sarti, barbieri, edili. Sono questi ultimi ad esempio ad aver costruito interi quartieri di Casablanca in Marocco.

E oggi?

medOggi proprio in un periodo di ondate migratorie dal sud, torna per l’Italia l’opportunità di una vita nuova in particolare in Tunisia. C’è sicuramente uno spazio per le condizioni favorevoli di vita e di costi, oltre che di tassazione per pensionati e per molti insegnanti che sono disoccupati in Italia – ricordiamo che a parte l’inglese, l’italiano è la lingua più studiata in Tunisia – ma anche un ventaglio di possibilità per imprenditori e professionisti in vari settori, con una premessa necessaria: che il Maghreb non ha bisogno di incursioni “mordi e fuggi”, di semplice attività di import-export ma di formazione e di realizzare partnership strutturate in una rete di cooperazione. In particolare c’è spazio per tutto quello che concerne il turismo di nicchia, eco-turismo e turismo culturale, poco promosso ancora in Tunisia; energie rinnovabili ed efficientamento energetico, dal risparmio energetico alo smaltimento e trattamento rifiuti; servizi a valore aggiunto nel settore infrastrutture e trasporti; e ancora industria alimentare di trasformazione con la produzione del biologico, recente, oltre che di formazione per il comparto enologico.

Il mare nostrum rischia di essere sigillato dalle contrapposizioni?

Indubbiamente, a causa dell’impaurimento generale che potrebbe essere superato con l’offerta di progettualità e di risposte nel segno del dialogo e della cooperazione. L’accoglienza può essere una fase di emergenza ma non la soluzione tout court. La prevenzione e l’inserimento sociale possono essere soluzioni di lungo corso, penso ad esempio ad un equivalente dell’Erasmus nel Mediterraneo. In ogni caso cercando di essere realista senza falsi entusiasmi né allarmismi, sto notando come ad una spinta di chiusura ne sta seguendo un’altra di apertura, trasversale, all’interno di alcuni paesi maghrebini, dove si cerca di abbattere il muro rispetto agli ex colonizzatori, per rileggere la storia superando antichi rancori e penso ad esempio all’Algeria. In fondo la presenza della Germania alla Biennale di Venezia 2016 è proprio in questo senso: il suo padiglione racconta la costruzione della società e della patria partendo dall’abbattimento dei muri. Una controcultura comincia a farsi strada.

GuidL’idea del libro di un megafono dedicato ai singoli Paesi a cosa mira?

L’obiettivo è aprire un forum di discussione con Albeggi Edizioni perché gli intellettuali possano essere lo strumento per una nuova visione politica e di sensibilizzazione economica nella gestione del mare nostrum dato che la cultura è un ponte più facile e immediato rispetto agli interessi particolari delle ideologie e dei sistemi politico-economici. La mia idea è di sollevare il dibattito localmente creando tanti focolai per tessere una rete che non sia calata dall’alto e dalla prospettiva europea perché la mia voce resta comunque quella di un’italiana. La risposta che unanimemente ho avuto è una diffusa consapevolezza dell’essere mediterraneo come prioritario alla nazionalità, razza, lingua e religione di appartenenza ed evidentemente almeno a livello degli intellettuali la coscienza della ricchezza delle differenze e delle corrispondenze tra i diversi popoli è forte e condivisa.

Da grande lago salato dove tutti i popoli sono appollaiati come rane, come detto nel Fedone di Platone, (poi ridicolizzato nelle Rane di Aristofane) a fucina di contraddizioni europee: quali i maggiori errori europei?

«La visione eurocentrica è all’origine di una miopia nei rapporti visti sempre in un’ottica autoreferenziale dal tempo dei Romani in poi. Il colonialismo è stato un vizio di tutte le epoche a dire il vero abbracciato anche dal mondo arabo-mediorientale a discapito del nord Africa. Lo strutturarsi in nazioni, unite in modo monolitico sotto una bandiera e una lingua ufficiale, oltre che una religione crea la negazione della minoranza e il non diritto di stare fuori dal coro. Per altro questo modello è passato anche alla sponda sud purtroppo, basti pensare alla prevalenza del modello arabofono e musulmano rispetto a quello plurale delle società nomadi pre-islamiche. Il ritorno all’accoglienza delle singoli voci è una lezione che dobbiamo apprendere nuovamente dagli antichi sia sulla sponda nord sia su quella sud.

Cosa pensa di una grande rete euromediterranea che parta dalla cultura e abbracci le imprese per uscire dal pantano di crisi come quella libica e siriana?

Mi pare francamente l’unica soluzione possibile pensando che la storia del Mediterraneo racconta come qui più che altrove la cultura e l’economia siano intrecciate e come l’impresa culturale e turistica sia per alcuni Paesi la prima fonte di reddito. Se guardiamo la cucina mediterranea abbiamo chiaro l’intreccio del livello culturale e simbolico con quello degli scambi commerciali. Di contro, il lavoro e l’impresa sono l’unica reale possibilità di pace e di convivenza sociale in questo luogo e quindi è utile se non indispensabile che gli intellettuali escano dalla loro torre eburnea per mettersi al servizio della politica e dell’economia. D’altronde non abbiamo inventato nulla di nuovo: nella Repubblica di Platone il governo della città e l’economia sarebbe dovuto essere amministrato dai filosofi e il popolo si riuniva a teatro, officina collettiva di analisi, intrattenimento, discussione e protesta sociale.

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