Non si potrà certo dissentire. Questo 2016 tra gli eventi di cronaca e l’epidemia di morte naturale che ha colpito i personaggi popolari, passerà tra i bisestili più funestati degli ultimi decenni. Sui fatti di cronaca non occorre indugiare in ulteriori commentarii. E’solo, ancora, il momento di darsi da fare. In merito invece all’epidemia dobbiamo convenire che la stessa sta colpendo con una equità ed una diffusione sia geografica che culturale tali da reputarla quasi opera non umana. Con pari ferocia sta falcidiando gli idoli di non poche generazioni, attingendo ai più diversi campi della popolarità. Attori, musicisti, filosofi, sociologi, che vengono mietuti come se altrove vi fosse necessità di rinfoltire il parterre o come se qui fosse diventato inutile farli ulteriormente soggiornare visto quanto sono cambiati i gusti, le abitudini ed anche gli interessi.
I più esperti in materia già stanno componendo le trame del complotto che presto si tradurrà nell’amara e surreale diagnosi: qui cosa dunque ci stavano a fare?
Carlo Pedersoli concesso alla storia come Bud Spencer. Stavolta è lui che ci lascia. Tutto nei canoni delle possibilità naturali vista l’età di tutto rispetto eppure, se la sua dipartita la si aggiunge alla già lunga fila delle illustri partenze, ecco che il sospetto della maledizione inizia a far capolino dal novero delle infinite cose di cui ci sfugge il controllo ed alle quali, religiosamente, diamo – o tentiamo – di dare una spiegazione che sia ragionevolmente limitata tanto da esser umana. Pertanto, qual miglior rifugio si può trovare se non nella saggezza degli avi e degli anziani? “Anno bisesto, anno funesto” e così sia.
La morte di Pedersoli porta tuttavia con sé una riflessione legata non tanto alla persona quanto al simbolo che essa rappresentava ed alla figura che il cinema aveva saputo costruirgli attorno. Un simbolo che, una volta tanto, era sincronizzato con le condizioni del mondo occidentale. E se in molti tendono a rinchiuderlo nel cliché del genere “spaghetti-western”, probabilmente quello del “castigatore buono” ben più gli si attaglia. Un giustiziere senza malvagità, solo con quella scorza dura del menefreghista che si poteva sopportare perché in fondo poi, giustizia avrebbe prevalso. Con poco sangue e tanta poca burocrazia. Quattro bei santi sganassoni e tutto si aggiustava: conti, diritti e futuri felici si mettevano in fila gli uni dopo gli altri per ottenere quanto gli era dovuto ma in una maniera tale che talune vicende avrebbero potuto risultare addirittura verosimili.
Insomma potevamo arrivare anche a credere che, in tante piccole situazioni (in particolare quelle del quotidiano disagio dovuto a piccoli soprusi o angherie), con qualche schiaffone dato di santa ragione, tutto si sarebbe aggiustato. Erano gli anni ’80 e la nostra vita ancora neanche era capace di sognare gli incubi dell’Europa odierna né i drammatici esodi né le crisi tenaci né tanto altro ancora anche solo e semplicemente relativo alla cattiveria umana. Le guerre erano in definitiva lontane e difficilmente ci appartenevano anche per una ben più scarsa presenza dei media e nel piccolo borgo antico della nostra italietta caotica ma non profondamente cattiva (gli anni di piombo della Repubblica con il 1982 avevano concluso la loro epopea fatti salvi pochi successivi colpi di coda), un supereroe che senza necessitare di orpelli americani quali tele di ragno, kryptonite ed altre esagerate amenità, fosse in grado di risolvere tutto con metodi conosciuti, collaudati ed in fondo alla portata di molti se solo avessero trovato il coraggio morale di farlo, ci riconciliava con la vita sapendo che, al massimo, avremmo potuto rischiare una colossale gazzarra (in realtà negli Usa nell’uomo avevano smesso di credere e per risolvere le beghe occorreva oramai l’improbabile superdotato, in Giappone invece già eravamo nell’era robotica con Mazinga e compagni. Noi, per fortuna, ce la cavavamo ancora con i “vecchi sistemi”). Oggi non più. La realtà dagli anni ottanta si è sublimata oggi in toni talmente più violenti, più feroci, più meschini, più complessi e più incontrollabili che i poveri quattro sganassoni risolutori sono finiti nel dimenticatoio e con essi le speranze coltivate con leggerezza e con la consapevolezza che ce l’avremmo potuta fare.
E’ bene essere onesti: ce ne eravamo dimenticati di Bud Spencer, di Trinità e di tutti gli altri eroi che Pedersoli aveva reso umani, simpatici ed amici fedeli. La sua morte ce li ha ricordati e con essi ci ha riportato pungente alla coscienza l’inadeguatezza che oggi avrebbero avuto i suoi schiaffoni, la sua ingombrante e burbera presenza. Un eroe siffatto non avrebbe, ai giorni nostri, avuto altra possibilità se non quella di soccombere, perché oggi i buoni cadono come mosche ed il mondo è dei cattivi. Vuoi vedere che questa uscita di scena nasconde un messaggio e non la si può annoverare semplicemente tra le vicende umane?
Non si intende certo ammiccare ai tempi passati sulle note del “si stava meglio quando si stava peggio”, assolutamente no, ma ammettere che gli schiaffoni risolutori oggi non sortirebbero più alcun effetto, nemmeno emozionale, è cosa non solo vera ma anche triste, grave, più complessa di quanto si voglia confessare. Lo schiaffone era il simbolo di una modesta capacità, alla portata dunque dei più, che aveva la potenzialità di risolvere guai anche apparentemente complicati. Oggi fa solamente ridere ed anzi lo schiaffone è tornato ad essere un gesto non liberatorio o di rabbia istintiva ma infidamente politicizzato. E dunque è tornato ad essere ora fascista, ora autoritario, ora antidemocratico. Ci si preoccupa più delle etichette ed in questa intricata scelta che deve risultare sempre politicamente corretta (non necessariamente etica, logica ed intelligente) perdiamo definitivamente il contatto con la possibilità di agire. Oggi è di moda delegare. Lo schiaffone (metaforico o meno che sia) si delega all’ente precostituito, solo che tale ente non c’è.
Ed allora non si danno più. Ma si prendono. Non esistono più gli schiaffoni del “castigatore buono”. Oggi non si schiaffeggia perché la progressione – e non necessariamente l’evoluzione – impone che non si usino più le mani (ma ben altro, invero). Ed allora a quel passato (mica poi tanto passato) si guarda con indulgenza, bonariamente, con il tono sostenuto di chi, credendo di aver compiuto il salto dall’adolescenza alla giovinezza (non certo alla maturità), senza rendersene conto, dalla commedia è passato alla tragedia. La speranza non si riaccende a sganassoni ma con altro. Ed è nel tentativo di disegnare l’identità di questo “altro” che rischiamo di andare in corto circuito. Forse eravamo convinti che il “santo sganassone” potesse in eterno conservare la sua magia? Forse gli edonismi reaganiani ci avevano subdolamente coinvolto ed indotto a sentirci invincibili? Abbiamo abbandonato tutto questo: gli sganassoni (santi o meno), Reagan, la Thatcher e tutti gli altri personaggi forti. E quelli forti rimasti che a qualcuno davano fastidio li abbiamo eliminati a sganassoni esplosivi (Saddam, Gheddafi) nell’ingenua arroganza di chi si sente per diritto divino adatto ad imporre regole al mondo. Radicalmente colmi di autentico umanitarismo, forti che le nostre democrazie contengano ben oltre le virtù cardinali e teologali, oggi, incapaci molto spesso anche di rispondere con un no al proprio figlio o alla propria figlia (specificare sempre: le accuse di sessismo sono sempre dietro l’angolo) perché considerato gesto violento ed appartenente a sepolte educazioni autoritarie, brancoliamo senza sentieri da seguire, avendo perso il senso di ogni qualsiasi dovere dimenticando che è quello che produce il diritto e non viceversa, abbiamo offerto ben oltre le due evangeliche guance ben più che le 77 volte 7 a non si sa più chi e corriamo il rischio di aver paura di uscire di casa. Non c’è più Bud, lo abbiamo scacciato senza rendersene conto, orami da tempo, semplicemente dimenticandolo ed oggi che anche le sue umane spoglie, umanamente esauste, sono partite, ci troviamo ancora più soli a doversi inventare uno sganassone perché il prossimo episodio ce lo dovremmo risolvere senza aiuto alcuno.
In buona sostanza in molti partono e la sensazione è che lascino dei vuoti ben oltre quello della perduta presenza fisica. E, come nel caso di Pedersoli, un vuoto nella capacità di immaginare soluzioni che, come nel caso dei suoi personaggi, consistevano di semplicità, di buon senso e di praticità. Anni luce oramai ci separano da quel mondo. Ma non siamo andati avanti, non siamo progrediti. La saga dello sganassone era in definitiva una dolce e simpatica parentesi prima di tornare all’uso di attrezzi ben più conosciuti. L’unica evoluzione che potrebbe invero rappresentarci è quella che ci ha portato “dalla freccia al cannone”.
Nemmeno i geni più alti seppero a loro tempo dimenticarsi di destinare il proprio ingegno alla guerra tanto la stessa è parte del dna. Da Leonardo da Vinci con il primo carro armato ad Enrico Fermi e compagni con la bomba atomica, tutti hanno reputato che pur dedicandosi alla scienza più pura, al momento in cui tale scienza fosse caduta nel mondo subalterno delle applicazioni, non avrebbe potuto esentarsi da una qualche applicazione bellica. E se fossero rimasti invece ai sani schiaffoni? Ce lo saremmo forse meritato e probabilmente altri oggi sarebbero i più forti e non necessariamente i più “grossi” quanto i più intelligenti, come forse, quelli che in questo momento stanno decidendo di uscire da certi consessi.
Non è capacità di autocritica la loro ma certo è cautela, senso di disagio per strade che non accennano a prendere diverse direzioni ma, anzi, persistono ad inoltrarsi attraverso una globale strategia che sta – ancora una volta – assumendo i toni della strategia del terrore, verso uno sconosciuto caos di fronte al quale forse, il nostro “castigatore buono”, sentendosi inadatto e inascoltato, ha scelto, stavolta, di non alzare le mani, prima che il gesto venisse interpretato come un segno di resa.