POPULISTA
La decisione dei cittadini della Gran Bretagna di uscire dall’Unione Europea (Brexit) dovrebbe valere anche come un invito rivolto ai nostri europeisti benpensanti, innamorati della “politically correctness”, a rivedere il loro demagogico vocabolario. Populista è il primo di questa serie di termini che andrebbero rivisti.
Sarebbe bene che i benpensanti – o progressisti come si diceva un tempo – ricorressero con minor frequenza all’uso indiscriminato di populista, termine al quale sono affezionatissimi. Le nostre élites pensanti designano con questo comodo stereotipo tuttofare chiunque non caldeggi le loro idee sature di condivisione e di solidarietà col diverso; purché beninteso non si tratti di un diverso loro conterraneo, immediatamente degradato sul campo come “populista”; e con il quale non intendono condividere un bel nulla né far prova della minima solidarietà.
È assurdo appiccicare l’etichetta “populista” a interi popoli, ma i nostri benpensanti – decisi a ben pensare per tutti noi – lo fanno con gagliardia: Ungheresi, Austriaci, Polacchi… oggi anche i Britannici sono populisti perché non europeisti alla maniera professionale di Renzi, Merkel, Hollande, Juncker. Dovrebbero capire, questi manipolatori del vocabolario, che occorrerebbe eliminare il popolo per riuscire a far tabula rasa dei populismi. Perché il popolo di per sé è, purtroppo, populista: vedi anche gli svizzeri che da perfetti populisti vogliono dire sempre la loro attraverso i referendum. E se il populismo fa paura a tanti per le sue idee poco elitistiche, ciò vuol dire che a far paura è il popolo.
Tra coloro che demonizzano oggi il popolo e i suoi tribuni, numerosi sono quelli – o forse erano i loro padri – che ieri intonavano “Avanti popolo, alla riscossa!” e che oggi si sono riciclati in fautori della mondializzazione, di cui l’europeismo costituisce per loro la necessaria prima fase. Internazionalisti filosovietici ieri, e internazionalisti filoamericani e antirussi oggi, vedi lo stesso Giorgio Napolitano. Anche questo, dopo tutto, è progresso.
Ma allora che termini usare al posto di populista e populismo? Semplicemente demagogico, demagogia, opportunista, opportunismo. Termini antichi ma tuttora validi, e di cui la nostra élite pensante, ammalata di diverso, potrebbe anche adottare la forma inglese che fa più snob perché meno popolare ,less popular: demagogue, demagogy, o la forma più raffinata: demagoguery.
Io non nego che vi possa essere demagogia in un certo antieuropeismo. Ma è più che evidente che vi è una gran dose di demagogia in coloro che denigrano sistematicamente le idee del popolo e dei suoi tribuni, avvalendosi di un vocabolario diretto ad abbassare e svilire chiunque non sia d’accordo con le loro alte idee. Insomma diciamo pane al pane e vino al vino. Anche se la cosa può dispiacere ai nostri demagoghi anti-populisti.
PAURA
Un sentimento subito evocato anzi invocato da chi porta avanti il discorso su migranti, disperati, europeisti, populisti, nazionalisti, è la paura. Tutti denunciano le paure su cui i populisti speculerebbero allo scopo di manipolare il popolo. Un popolo, inutile dire, esso stesso populista e che dunque teme il nuovo, la novità, il cambiamento, l’altro; in parole povere: un popolo pauroso, ancorato al vecchiume e così diverso dalle nostre élites benpensanti che coraggiosamente amano il diverso, l’altro, il nuovo, le novità, il progresso, e che non possono che provare disprezzo per queste assurde paure del popolino.
La paura avvelena l’Europa, In Gran Bretagna ha vinto la paura del migrante, La propaganda demagogica dei populisti è basata sulla paura del diverso, I populisti speculano sulla paura. Non c’è che dire: in un’Europa dove il popolo, per un irrazionale sentimento di paura verso questo travaso epocale di popoli, stenta ad afferrare la bontà di slogan come condivisione, solidarietà, siamo tutti migranti, le nostre élites benpensanti denunciano le paure. Insomma, le paure del popolo fanno loro paura. E vi sono paure giuste e ingiuste, legittime e illegittime, elitiste e populiste. Quelle dei benpensanti sono nobili e altruistiche.
Al vertice di questa piramide populista, sorta di altare diabolico in cui si compiono sacrifici umani, e che incute agli innocenti una sacrosanta paura, vi è il Front National. Devo ammetterlo: il pronunciare questo nome – Front National – dà i brividi anche a me.
In prima linea, nella coraggiosa denuncia delle paure che gli esecrandi populisti brandiscono a guisa di arma di distruzione di massa, troviamo The Economist, la prestigiosa rivista finanziaria, espressione dei poteri forti internazionali che perseguono tenacemente da anni, senza troppo nasconderlo, la definitiva eliminazione della nazione, ultimo ostacolo sulla via del mercato unico mondiale. E tra i leader ammalati di populismo The Economist colloca, accanto alla diabolica Marine Le Pen, degna figlia del padre, anche il candidato alla presidenza americana Donald Trump. Playing with fear è il titolo dell’articolo, grondante paura, che il settimanale transnazionale ha consacrato al pericolo costituito dai populisti alias nazionalisti: In America and Europe, right-wing populist politicians are on the march. The threat is real. Non c’è che dire: i populisti fanno vedere i sorci verdi ai progressisti, mondialisti, “solidaristi”, immigrazionisti, ecumenisti della finanza…
I denunciatori delle paure altrui appaiono in preda, dopo la Brexit, alle peggiori paure. Basti vedere quali reazione isteriche ha scatenato su scala planetaria la decisione dei Britannici di far da sé. Gli analisti hanno annunciato sic et simpliciter la fine dell’Inghilterra in seguito a questa paurosa scelta. Gli inglesi avrebbero rinunciato all’Europa. Non all’Unione Europea, ma all’Europa stessa. Forse adesso diventeranno asiatici o forse africani.
Evidentemente le paure sono come le flatulenze: le nostre sono legittime e naturali, mentre quelle dell’avversario sono sconce e puzzolenti. Ma quando uno se la fa sotto non può denunciare, senza far ridere, la puzza degli altri. Ma è ciò che avviene: i denunciatori dei populisti e della loro arma della paura, speculano essi stessi sulla paura: la paura del popolo-populista.
Per squalificare l’avversario populista i benpensanti dovrebbero parlare di cose, far valere argomenti, ricorrere ai ragionamenti. Preferiscono invece sfruttare le facili emozioni e soprattutto le paure, che il loro vocabolario addomesticato e manipolativo – vedi l’etichetta populista che appiccicano a più non posso sugli avversari – abilmente suscita.
EUROPEISTA
Io proporrei che si facesse chiarezza – per usare l’icastica espressione – sul termine europeista, di cui ci serve oggigiorno con disinvoltura per identificare ammirativamente i sostenitori di un europeismo che io considero snaturato e degenere perché sfociante nell’internazionalismo, nella mondializzazione e nel globalismo indifferenziato. L’immissione, senza limiti e senza regole, di masse di migranti in provenienza da altri continenti, in nome di un’ideologia immigrazionista, non è europeismo ma internazionalismo, globalizzazione, mondializzazione.
I tecnocrati di Bruxelles hanno voluto abolire le sovranità nazionali dei singoli stati europei, senza avere l’intenzione di costruire una sovranità europea degna di questo nome, la quale richiederebbe, tra le tante cose, l’introduzione di regole d’entrata per chi europeo non è. Come conseguenza di questa apertura al mitico diverso, in cui principale merito è di non essere europeo (vedi anche i numerosi Imam insediati in Europa, predicatori d’odio antieuropeo), si assiste ad uno tsunami immigratorio, sorta di colonizzazione alla rovescia che ha causato la reazione populista dei popoli ungherese, austriaco e oggi anche britannico.
Abolire i confini nazionali dell’Europa Unita va bene, anzi benissimo, ma solo stabilendo dei precisi confini europei che occorrerebbe vigilare nella maniera appropriata. Altrimenti, senza regole i confini diventano una barzelletta (vedi la grottesca ma anche tragica operazione di salvataggio apprestata dalle forze marittime italiane, causa diretta dei naufragi di gente che si affida al mare proprio contando sui salvataggi, l’accoglimento e l’ospitalità di un Italia che è la caricatura di uno stato sovrano). E così anche diviene barzelletta questo territorio europeo senza veri confini.
Insisto sui confini, sulla sovranità, e sull’esclusione dell’Altro invece che sulla sua beatificazione masochistica, perché l’aspetto colabrodo di quest’Europa unilateralmente aperta, è la causa principale della reazione di popoli che hanno nel proprio dna, vedi il popolo inglese, il culto della propria differenza, oltre che quello della democrazia e del rispetto delle regole.
Gli europeisti dovrebbero far prova di vero spirito europeo, dimostrandosi capaci, sì, di superare e sublimare lo spirito nazionale, ma senza divenire sbracatamente mondialisti, perché chi ama tutti, in realtà non ama nessuno; e chi vuole essere tutto in realtà non è niente. Sul piano geografico, culturale, storico e via dicendo, l’Europa è un continente distinto dagli altri, e quindi essa non può includere l’intero universo, come invece vorrebbe il papa argentino.
Agli incondizionati europeisti io proporre un test: indicare quali sono gli stati confinanti con questa Europa, divenuta burocraticamente Unione Europea, da loro ardentemente amata ma di cui probabilmente non conoscono i confini. Come non li conosco neppure io, a dire il vero. E tanto la mia quanto la loro ignoranza sono spiegabili, dato che l’attuale Unione Europea – l’Ue – è uno spazio virtuale in continua espansione. La Serbia, che gli europei ed europeisti insieme con gli Usa bombardarono nel 1999, è Europa? Non lo è più? Lo è già? Non lo è ancora? Chi me lo sa dire? Mi chiedo anche: perché i nostri europeisti per la pelle odiano tanto la Russia, che beninteso non fa parte dell’Unione Europea, ma che è in parte anch’essa Europa? E quali sono i valori europei, fondamento ideale di questa nostra Europa tanto amata?
Si direbbe che nessuno sia disposto a combattere per questi valori. Anzi direi che è tabù persino cercare di identificarli (tra questi capisaldi di civiltà, che mai nessuno menziona, vi è certamente il cristianesimo), per tema di escludere i valori dell’Altro, “non europeo”. E questa incapacità o non volontà di definire i valori europei deriva dal fatto che l’unico valore europeo acclamato all’unanimità dai benpensanti è la condivisione, concetto nebuloso che sembra includere tutto e il contrario di tutto. L’Europa è tollerante, molto tollerante, sempre disposta oltre che alla condivisione alla solidarietà. Una solidarietà a tutto campo, planetaria, senza distinzioni geografiche, senza barriere, limiti, confini. E soprattutto senza reti, recinti, muri. L’Europa è la nostra casa, ristrutturiamola! è stato l’invito del primo ministro italiano Matteo Renzi, subito dopo aver appreso con costernazione del voto maggioritario Brexit espresso dai britannici. Una casa evidentemente senza muri maestri, perché l’Europa, all’unanimità, non tollera i muri. Vuole essere una casa aperta dove può entrare chi vuole.
Non si dimentichi che questo stesso Matteo Renzi chiamò bestie gli italiani che osavano essere critici dell’ammissione senza alcuna sorta di controllo, non fosse altro che per accertare l’identità anagrafica e il paese di provenienza delle masse di cosiddetti disperati provenienti dai paesi più vari, e intruppati sui barconi dalle loro mafie locali, ma solo dopo regolare pagamento del biglietto.
Sì l’Europa è molto tollerante. Tollera tutto. Ma non tollera i populisti. E occorre precisare: i suoi populisti perché tra le masse che approdano senza alcuna verifica sulle coste italiane vi sono certamente dei populisti e forse anche peggio: pregiudicati, ex guerriglieri, fanatici, intolleranti, violenti, xenofobi e razzisti, anche se nel nobile nome di Allah. Insieme, beninteso, a tanta altra gente perbene, desiderosa di raggiungere amici e parenti, già stabiliti in Europa, senza seguire la lunga e difficile trafila dell’emigrazione legale. Ma nessuno osa procedere a degli accertamenti su questa massa eteroclita di veri e falsi disperati dal momento che il diverso è una vacca sacra. Sacra, purché provenga dalle stalle o dai pascoli situati al di fuori dei confini europei. Il diverso di casa nostra – la casa comune europea alla Renzi – è definito invece bestia, populista, xenofobo; degno quindi del disprezzo e dell’intolleranza dei cosiddetti tolleranti sempre solidali e sempre disposti – a parole – a condividere con tutti eccetto che con i difensori dei valori nazionali europei.
EUROPEISMO E PATRIOTTISMO
Il termine europeismo, tanto acclamato anche da chi neppure conosce il confine europeo – evanescente, permeabile, virtuale- andrebbe riformulato. Si dovrebbe coraggiosamente ribattezzarlo patriottismo europeo, perché senza la nozione di Patria, un po’ affrettatamente abolita dai benpensanti-progressisti aperti anzi spalancati al diverso, nessuna Europa da laboratorio riuscirà a tenersi dritta sulle sue tante gambe. Secondo me, un cuore andrebbe aggiunto a questa formazione con tante membra, cui i nostri grandi esperti di solidarietà e condivisione si illudono di poter dare unità attraverso solo due organi comuni. Il primo dei quali è lo stomaco, fatto di economia e finanza; organo unitario costruito nei laboratori del social engineering dove operano i nostri ben pagati esperti di Bruxelles, città avamposto dell’Islam ma anche capitale morale della nuova Europa. E il secondo è un organo politico, avulso dalle realtà nazionali di un’Europa che non va considerata come un coacervo di governi e d’individui proiettati unicamente verso il futuro, un futuro economico, come invece avviene. Questo organo politico ha voluto imporre la propria volontà ai popoli europei attraverso l’imposizione di misure burocratiche spesso grottesche, o di altre che costituiscono la denegazione delle singole identità nazionali e della volontà dei popoli; identità e volontà annullate a tavolino da questi burocrati privi di un vero mandato e totalmente estranei all’idea che occorra creare una coscienza europea ed enunciare altresì la nozione di interesse europeo. Paradossalmente, infatti, non si ode mai l’espressione interesse europeo, quasi che il riconoscere l’esistenza di un interesse proprio all’Europa fosse qualcosa di politically incorrect che va contro i diritti civili del resto dell’umanità.
L’abbattimento delle frontiere nazionali – come è avvenuto – senza la creazione, nel contempo, di una vera frontiera comune europea, da sorvegliare e proteggere, è il risultato di questa paradossale mancanza di spirito europeo. La coscienza europea non può prescindere dall’esclusione. Esclusione di ciò che appunto non è europeo. L’Europa Unita ha bisogno di salvaguardare la propria identità; che è emanazione delle identità dei singoli paesi che la compongono. E non è certo mortificando queste distinte identità che automaticamente sorgerà un’identità comune.
Si ode spesso l’invito rivolto agli stati europei di riprodurre il modello Usa, creando quindi gli Stati Uniti d’Europa. Ma mai che qualcuno ricordasse i caratteri assai particolari di quest’America, verso cui il suo popolo e i suoi leader manifestano una devozione che sconfina nel misticismo. Gli Usa sono un Paese guerriero, con un’unica lingua nazionale, costruito su miti fondatori di fronte ai quali ogni presidente americano si genuflette commosso. E per il suo popolo e per i suoi governanti “mondialismo” vuol dire un mondialismo a stelle e strisce. Paese inoltre pronto a respingere al mittente i barconi di haitiani che riuscissero ad approdare alle sue coste.
L’abbandono degli inglesi della barca europea, come anche la reazione dei cittadini di paesi come l’Austria, o l’Olanda, che sono un esempio di serietà, ordine, civiltà, democrazia dimostrano che l’Europeismo non può abolire il sentimento di Patria. Non è facile eliminare i profondi sentimenti egoistico-altruistici rivolti alla propria nazione, e che i manipolatori del vocabolario degradano presentandoli come un’espressione folclorica di populismo. Invece di esecrare tali legittimi sentimenti qualificandoli come egoistici e reazionari, si dovrà cercare di estenderli all’Intera Europa-Nazione, immettendoli così in un ambito più ampio, più generoso, più vantaggioso, più interessante, più bello. Ma un’Europa, appunto, intesa come una forma più ampia, più ricca, più utile e lungimirante delle singole patrie-nazioni; le quali si dilaniarono in innumerevoli guerre civili.
Non si può fare astrazione di storia, passato, continuità. I caratteri dei popoli non si improvvisano. La mancanza di una lingua unica farà sempre sentire il suo peso. L’Europa può acquisire nuovi ideali, può innalzarsi, può migliorare, ma non dovrà mai rinnegare se stessa né le singole identità che la compongono. L’Europa non può essere quindi intesa come una formula puramente burocratica, o un contenitore indifferenziato di valori, o un gigantesco albergo d’individui, ma come innalzamento e sublimazione in una più ampia famiglia – la famiglia europea – delle tante magnifiche identità che la compongono. E questa Europa merita di essere attivamente difesa contro i valori del diverso se questi appaiono inconciliabili con i valori europei.
L’opposizione all’altro, al mitico diverso, oggetto di culto tra i nostri benpensanti, non è xenofobia, ma semplice affermazione della propria identità e di un sacrosanto egoismo collettivo senza il quale nessuna entità sovranazionale, che sia provvista d’anima, può sopravvivere.
L’Europa non può non avere dei confini; che vanno quindi difesi. Universalismo, cosmopolitismo, mondializzazione sono oltretutto utopie tristi poiché vanno contro l’uomo