Di Matteo Zanellato
Gerusalemme è un luogo sacro per le tre religioni monoteiste. Nel Monte del Tempio fu situato il Tempio ebraico di Gerusalemme, dedicato al Dio dell’ebraismo, che dopo varie ricostruzioni venne distrutto dai Romani nel 70 d.c. Oggi rimangono alcuni tratti del muro occidentale, il Muro del Pianto, dove gli ebrei si recano in preghiera. Secondo la tradizione mussulmana il Monte del Tempio è sacro perché il profeta Maometto venne assunto in cielo dalla roccia situata in cima al monte. La Basilica del Santo Sepolcro, considerata il luogo della sepoltura e della resurrezione di Gesù, è sacra per la religione cristiana.
Dopo la proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, il monte del tempio rimase nella Gerusalemme araba (situata ad est della città). In seguito alla guerra dei sei giorni del 1967 passò sotto il controllo degli israeliani. Oggi un accordo tra lo stato ebraico e la Giordania garantiscono lo status quo della zona.
I fatti: nell’ottobre del 2016 è scoppiato un caso diplomatico tra Israele e l’Unesco, agenzia dell’Onu che si occupa di cultura e protezione del patrimonio artistico con lo scopo di promuovere e garantire la pace attraverso la cultura. Il consiglio direttivo dell’Unesco, composto da 58 paesi a rotazione dei 195 che lo compongono, ha approvato una risoluzione sulla “Spianata delle Moschee”, luogo sacro sia per gli ebrei che per i musulmani, chiamandolo soltanto con il nome musulmano Al Haram Al Sharif. Nello stesso documento però venivano citati altri monumenti secondari sia con il nome ebraico che mussulmano, tanto da pensare ad una scelta politica ben definita. D’altronde, nella periodica rotazione del Consiglio direttivo, capita spesso che ci siano stati contrari a Israele o comunque neutrali nei suoi confronti. Gerusalemme inoltre è al centro di una contesa politica tra Israele e la Palestina, in quanto tutti e due gli stati la considerano propria capitale.
Non è la prima volta che Israele subisce le decisioni dell’Unesco, già nel 2010 ad esempio un’altra risoluzione stabilì come la Tomba di Rachele fosse in realtà soltanto la Moschea di Bilal Ibn Rabah, scatenando le polemiche israeliane: «Prima del 1996 nessuno definì la Tomba di Rachele una Moschea» scrisse ad esempio Nadav Sharagai ne The Jerusalem Post.
L’uscita di Israele dall’Unesco nel 2013 causata dal mancato pagamento dei fondi dovuti a partire dal 2011, anno di ingresso della Palestina nell’organismo dell’Onu, ha ulteriormente ridotto le possibilità di difendere i propri interessi culturali. All’uscita di Israele dall’Unesco dobbiamo aggiungere anche la rottura delle relazioni diplomatiche annunciate da Netanyahu, che ha fatto ritirare il suo ambasciatore a Parigi, spiegando così lo scontro diplomatico con l’organismo dell’Onu. La Direttrice generale dell’organizzazione, la bulgara Irina Bokova, ha cercato di riappacificare i rapporti, ma la sua presa di distanze dalla risoluzione non è stata sufficiente: ad Israele è stata negata la propria storia e non è stata nemmeno ritirata la risoluzione che ha creato l’incidente diplomatico.
A supporto di Israele si sono schierati gli Usa, ma anche diversi esponenti politici, associazioni e intellettuali nell’occidente, per criticare “la pretesa dell’Unesco di cancellare la storia”. Il Foglio si è schierato organizzando una manifestazione di fronte alla sede dell’Unesco a Roma, per “trasformare il muro dell’Unesco in un Muro del Pianto”. Centinaia di persone hanno ribadito l’amicizia italiana a Israele e detto in maniera pacifica che la Shoah culturale, ovvero la negazione della storia di Israele, coincide con la negazione della legittimità dell’esistenza di Israele.
Alla prova pratica la risoluzione non sposterà dei fondi economici e non modificherà lo status quo della gestione del complesso, rimane quindi soltanto una provocazione, un disprezzo alla cultura dell’umanità intera che non dovrebbe esitare a dichiarare l’importanza di quel luogo e la pari dignità tra le tre religioni monoteiste.
Rimane la constatazione che l’Onu, e i suoi organismi interni, debbano essere rivisti. Stati piccoli, generalmente contrari ai principi con cui l’Onu si è formata riescono ad avere lo stesso peso di Stati più importanti e con il compito di garantire quei principi.
Un gesto, questo, che rappresenta la spia di un nuovo medioevo.