Questo primo maggio da poco passato è coinciso con i 100 anni dalla morte di Feliciano Novelli. Tutti, credo, indistintamente, si domanderanno chi fosse stato costui e cosa di particolarmente rilevante possa aver compiuto per giungere oggi a scriverne. Poche in realtà sembrano le notizie certe che lo riguardano ed in particolare pochi i fatti personali salienti che potrebbero in qualche modo farlo assurgere agli onori della memoria.
Poche note che potrebbe, lo stesso, condividere con tanti ma proprio per questo, al pari del Milite Ignoto, assume tutti i caratteri per divenire simbolo non solo della sua generazione ma di una vicenda storica e sociale della quale, ignaro forse, è stato protagonista, istintivo attore e al contempo personaggio ideale. Una di quelle storie lacunose che la nostra letteratura post-risorgimentale e poi verista, colmando i vuoti documentali e riempiendo gli stessi di dialoghi e note sociali a gusto dello scrittore, ce l’avrebbe restituita, oggi, nella sua nuova veste di simbolo.
Nato il 19 luglio 1833, dice la scarsissima biografia, ad Agugliano nelle Marche, anche se il meticoloso registro dei battesimi che da sempre è stata fonte certa piccole e grandi scoperte, vergato a mano da Don Andrea Bartolucci, parroco della parrocchia di Santa Maria delle Grazie, ce lo indica come battezzato il giorno stesso della nascita in quel di Castel d’Emilio che, seppur frazione di Agugliano, intende avvalersi dell’atto sacerdotale per accaparrarsene i natali.
Inutile dire che le origini erano quelle di una famiglia che sovente si etichetta con l’eufemismo di “umile”, indicando con tale epiteto tutta una serie di disagiate condizioni in cui la popolazione specie delle campagne, conduceva la propria vita, anche, come in questo caso, nei territori dell’allora Stato Pontificio.
E già sarebbe curioso domandarsi chi oggi, mutatis mutandis, avrebbe la coscienza di reputarsi tale stante che non di mancanza di pane come allora potrebbe trattarsi (l’etichetta corretta sarebbe quella di indigenza e/o povertà), bensì dell’impossibilità – forse – di permettersi inutilità di vario ordine e grado che nell’immaginario sociale contemporaneo invece assurgono a minimi indispensabili.
Ad ogni buon conto, le umili origini – obtorto collo – vantate dal Novelli, fecero sì che da piccolo si trasferisse con la famiglia ad Ancona, figli di quel movimento migratorio ondivago e ricorrente che per qualche decennio vede spopolarsi le campagne per poi assistere al processo inverso allorché le condizioni della città mostrano come spesso le “umili origini” lì siano ancora più insostenibili.
Non si trova traccia ovviamente della sua pubertà né di eventuali scuole frequentate né, tanto meno, come e con quali capacità lavorative sia giunto alla maggiore età che il Regolamento Legislativo e Giudiziario dello Stato Pontificio dal 1834 indicava in 21 anni (art. 5).
Nel frattempo, tuttavia, la comprovata partecipazione alla Campagna di Crimea con l’esercito del Regno di Sardegna (i Savoia), lo vede imbarcato, nel gennaio 1855, alla volta di Costantinopoli e poi della Cernaia dove, a qualche titolo, prese parte alla battaglia celebrata in un famosissimo quadro di Gerolamo Induno (anch’egli futuro patriota e garibaldino oltre che compagno d’armi in Crimea, del Novelli). Fortuna arrise senza dubbio al Novelli visto il marginale impiego delle truppe italiane che se la cavarono, nell’occasione, con una quindicina di morti e non più di duecento feriti (cifre che oltre tutto contrastano con l’ingente contingente che invece era stato inviato, forte di oltre 18.000 uomini).
Ancora minorenne dunque ma abile a servire una qualche bandiera per il soldo giornaliero, avrebbe avuto già di che scrivere storie incredibili della propria vita che dall’umile origine l’aveva catapultato – ignaro – al centro della storia.
Pochi anni dopo, cinque per l’esattezza, forse amareggiato, forse intrigato da qualche straccio di ideale, forse spinto ancora dall’incapacità ad arrendersi alla vita sempre avvinghiata all’umiltà dei suoi natali, come quella che un ingaggio da marinaio nel frattempo trovato gli stava offrendo, le note biografiche ci riportano il grande gesto: Novelli si arruola tra i garibaldini e parte il 5 maggio da Quarto al seguito di Garibaldi. I motivi reali e le scarse notizie non ci indicano quanto l’amarezza personale possa aver influito in questa scelta, né quanto, in conseguenza, potesse essere il fuoco sacro della baldanza giovanile.
Di fatto, unitamente ad una moltitudine di 1080 uomini il Novelli entra a far parte di quella strana armata che una efficace immagine di Camilleri così descrive: “È un viaggio molto bello, a pensarci bene, perché si tratta di 1.080 persone che s’imbarcano a Quarto su due navi, più o meno avventurosamente si riforniscono di carburante e di quello che serve, eludono la sorveglianza dei militari e arrivano a Marsala. Nella durata di un viaggio, in cui si parla poco l’italiano e molto il dialetto, questa gente eterogenea e raccogliticcia, animata però da uno spirito comune, diventa a poco a poco un esercito”.
E qui sta il fascino anche di questa pagina di storia. Uno spirito comune che si forgia partendo dalle più disparate vicende personali. E’ noto infatti come accanto agli intellettuali, ai rivoltosi e quant’altri animati anche da semplice spirito d’avventura, vi fossero coloro – e forse i più – che a vario titolo avevano l’imbarco quale ultima scelta rimasta. E tale etereogneità, anche se notizie precise in merito al comportamento del Novelli ancora una volta difettano, si mostrerà nella conduzione della campagna, costellata di eroiche gesta quanto di atti deplorevoli o quanto meno fortemente discutibili. Non tutte erano educande questo è certo anche se l’orgoglio nazionale ha molto spesso prediletto l’elemento patriottico a quello brutale della guerra con tutti i suoi atti annessi e connessi.
Fatto sta che Novelli, dopo lo sbarco a Marsala fu aggregato al reparto di Carabinieri genovesi comandato da Antonio Mosto. Evidentemente gli anni passati in quel di Genova come marinaio gli avevano trovato una nuova identità. Il vero battesimo del fuoco fu pochi giorni dopo a Calatafimi, evento questo del quale la scarna biografia del Novelli riporta invece come sia stato leggermente ferito da una palla di moschetto che rimbalzò dopo avergli staccato di netto la baionetta dal fucile.
E a credere fedelmente alle note sulla battaglia riportate da Giuseppe Cesare Abba (che tenne un diario della sua personale esperienza, “Da Quarto al Volturno”), la disavventura del Novelli in verità era meno importante della paura che sicuramente, a quell’età ed in quel frastuono, potevano più facilmente comprendersi.
Abba racconta la battaglia con l’animo epico del credente: “Ci levammo, ci serrammo, e precipitammo in un lampo al piano. Là ci copersero di piombo. Piovevano le palle come gragnuola, e due cannoni dal monte già tutto fumo, cominciarono a trarci addosso furiosamente. La pianura fu presto attraversata, la prima linea di nemici rotta; ma alle falde del colle chi guardava in su! […]Là vidi Garibaldi a piedi, colla spada inguainata sulla spalla destra, andare innanzi lento e tenendo d’occhio tutta l’azione. Cadevano intorno a lui i nostri, e più quelli che indossavano camicia rossa. Bixio corse di galoppo a fargli riparo col suo cavallo, e tirandoselo dietro alla groppa, gli gridava: – Generale, così volete morire?- Come potrei morire meglio che pel mio paese? – rispose il Generale, e scioltosi dalla mano di Bixio, tirò innanzi severo. Bixio lo segui rispettoso. […] A quell’ora mancavano già dei nostri molti, che intesi piangere dai loro amici: e vidi là presso, tra i fichi d’India, un giovane bello, ferito a morte, sorretto da due compagni. Mi pareva che si volesse lanciare innanzi ancora; ma udii che pregava i due fossero generosi coi regi, perché anch’essi Italiani. Mi sentii negli, occhi le lagrime”.
Quanto si può ritrovare del Novelli in queste parole, in questi gesti, in questi sentimenti? Non è dato saperlo, ed oggi sembra più confacente ricordarlo come un uno dei tanti senza una vera ragione che non fosse quella del non aver niente da perdere e tanta generica quanto radicata amarezza da dover in qualche modo vendicare. Ma oramai il dado era tratto e così, non più tardi di due mesi dopo si trova a Milazzo, nella vera prima battaglia combattuta contro forze borboniche ben determinate.
Anche in quella occasione sembra arridergli una strana fortuna ed anziché essere impiegato a terra dove forti furono le perdite, si ritrova a fianco di Garibaldi, su una nave, anzi una pirocorvetta (ovvero una corvetta a doppia propulsione, vela e vapore), la Tukory (era la nave “Veloce” della marina borbonica consegnata ai garibaldini grazie al voltafaccia del suo capitano Amilcare Aguissola), così ribattezzata in onore di Lajos Tüköry, militare ungherese che si era aggregato ai Mille e che era morto durante l’attacco a Palermo il 27 maggio. La Tukory fu determinante nello svolgimento della battaglia, forte di 10 cannoni il cui intervento volse le sorti a favore dei garibaldini che comunque lasciarono sul campo circa un quinto delle loro forze, tra i 700 e gli 800 uomini.
Ma la spedizione di Novelli volge verso la fine: liberata la Sicilia, il tentativo di sbarco sulla penisola fallisce ed il Novelli resta tra coloro che vengono catturati dai napoletani.
Così Cesare Abba descriveva l’episodio: “A mezzo lo stretto, il Dittatore, accertato che le barche non avevano più nulla a temere delle navi borboniche, lasciò che andassero innanzi, designandone per guida una dalla vela latina. E tornò di qua. Su quelle barche navigavano Alberto Mario, Missori, Nullo, Curzio, Salomone, il fiore dei nostri con un dugento volontari scelti, comandati dal capitano Racchetti della brigata Sacchi; capo dell’impresa Musolino da Pizzo.
Due barcaiuoli che v’erano mi narrarono, e narrando tremavano ancora che quando si avvidero del passo cui i nostri si andavano a mettere, essi non volevano più remare. Ma costretti, piangendo, pregando Maria e i Santi, tirarono innanzi con quei demonii. Nel buio alcune barche si staccarono dal gruppo e si smarrirono verso Scilla. I napoletani dal Forte avendole scoperte tirarono quella maledetta cannonata, appunto mentre il resto della spedizione toccava il punto designato, vicino all’altro Forte di Torre Cavallo e sbarcava scale, corde, arnesi d’ogni fatta per darvi la scalata.
Nacque un po’ di confusione; le barche pigliarono il largo veloci, lasciando i nostri sull’altra sponda, nelle tenebre, senza guide, e alle prese colle pattuglie napoletane uscite dal Forte”. Novelli fu imprigionato e successivamente inviato a Napoli dove, interrogato da Garibaldi ne uscì con tutti gli onori e la sua pensione di garibaldino. In realtà su cotanta riconoscenza vi sono studi che ridimensionano alquanto la voce “pensione”.
Lo stato pare che in realtà si ricordò di loro solo nel 1907 ed agli stessi, una volta dimostrato che fossero in stato di bisogno, venne accordato un sussidio di 50 lire a testa, corrispondenti agli odierni 200 euro. Tutto ciò probabilmente basta ed avanza a giustificare la presenza del Novelli nel 1866 alla terza guerra di indipendenza e così l’anno successivo, al tentativo garibaldino di conquistare Roma.
Sposatosi nel frattempo, rimase presto vedovo e con la figlia tornò nelle sue terre natali, oramai italiane e non più pontificie dove, a Chiaravalle, vicino ad Ancona, morì nel 1918.
Fu la guerra e la mancata redenzione dalle “umili origini” che gli fecero girare una buona fetta di mondo che altrimenti non avrebbe mai conosciuto. La sua storia, per la mancanza di fatti eccezionali, per la presenza su teatri di guerra che lo vedono in fondo estraneo, ci ricorda molte delle figure che invece la cronaca, la letteratura ed anche la storiografia ufficiale, ci racconteranno dei militari della prima guerra mondiale.
Quanti Novelli ci saranno stati tra di loro? Lontana è anche la narrazione di Abba, fervente intellettuale e così quella di molti tra coloro che ci hanno riportato diari su quelle vicende. Ed anche per questo in fondo è ancora più importante ricordarsi dei Novelli che in ogni guerra hanno costituito il drappello dei dannati, la carne da cannone, impersonando la sacrificabilità degli innominati, la disponibilità dei disperati ed il diritto a dimenticarsi di loro. Ieri ed oggi ancora.