Detenuti italiani all’estero: un consiglio al Governo

Di Paolo Falliro

Continua la battaglia del Ctim per gli italiani detenuti all’estero. La maggior parte dei tremila si trova in Europa, in Germania (1.100) e in Spagna. Ma quelli che hanno la sfortuna di trovarsi in Sudamerica patiscono condizioni sociali, igienico sanitarie ben peggiori.

Sono i cosiddetti dimenticati dalla Madre Patria, senza il conforto di beni di prima necessità, spesso senza gli interpreti necessari, in celle sudice e senza l’ombra di una civile quotidianità. Tre quarti di loro sono ancora in attesa di giudizio. I numeri (gli ultimi uf ciali risalgono al 2015) rivelano che 150 sono dislocati nelle prigioni di Perù, Argentina e Venezuela, quasi 50 in Medio Oriente.

Esiste un trattato che dovrebbe regolamentare casi simili, la Convenzione di Strasburgo del 1983 che è tarata sul trasferimento delle persone condannate. E’stata rmata da circa settanta Stati e si somma agli accordi bilaterali che però spesso si scontrano con procedure macchinose e poco fluide.

Nei territori lontani dalla casa Italia poi c’è da armonizzare questa problematica con i tagli della spending review che si sono abbattuti sulle nostre rappresentanze consolari nei cinque continenti. Ma cosa potrebbe fare il Governo italiano per tentare di risolvere questa vergogna?

Una possibile facilitazione potrebbe essere quella di prevedere la presenza di un funzionario italiano in tutte le udienze dove imputato è un detenuto italiano all’estero: sarebbe un segno di presenza fisica sul territorio, in un settore delicatisismo come quello dei procedimenti penali, da parte dello Stato italiano.

Sarebbe anche un gesto di civiltà e di maturità da parte di Roma verso un mondo di cui si è per troppo tempo ignorata anche la stessa esistenza.

twitter@PrimadiTuttoIta

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