Cosa porta in grembo quel dire e non dire del governo italiano sui principali dossier di politica estera?
C’è il rischio che le titubanze su Cina, Iran e Russia possano far naufragare l’Italia al di fuori della sua rotta liberale, atlantica e occidentale? O, peggio, possano consegnarla all’irrilevanza più totale in un quadro già ampiamente mutato?
Quesiti legittimi che si stanno sviluppando in questi mesi in cui da Palazzo Chigi sono venuti segnali contrastanti, come sulla Via della Seta e sul caso del nucleare iraniano. Nello stretto di Hormuz, come noto, si sta sviluppando una concentrazione di fatti e screzi. Tante, troppe sono le navi da guerra che lo pattugliano con il rischio oggettivo di innescare un’escalation , più semplicemente, di provocare un incidente.
Nel Mediterraneo orientale si snoda (e chissà per quanto ancora) la crisi del gas tra il blocco legittimo e protetto dall’ombrello Usa (Cipro, Grecia, Egitto e Israele) da un lato e la Turchia di Erdogan dall’altro, sempre più mina vagante peraltro azzoppata fortemente dall’instabiità finanziaria successiva al crollo della lira. Il silenzio italiano sul gasdotto Eastmed, tema divisivo visto che già sul Tap uno dei due partiti in maggioranza è andato in affanno col proprio elettorato, non porta buone nuove ma la consapevolezza dei partner internazionali che l’Italia è afona e senza una guida autorevole.
La guerra dei dazi tra Washington e Pechino registra mensilmente nuove puntate, con l’ipotesi del Segretario al Tesoro Steve Mnuchin di trovare un accordo-ponte con Xi valido sino alle prossime elezioni per la Casa Bianca. Roma annuncia la vendita di arance alla Cina e una generica apertura sulla Via della Seta, ma con il grosso punto interrogativo del 5G e della sicurezza nazionale su cui anche i vertici della Lega sono stati chiamati a rendicontare in occasione dell’ultimo viaggio a Washington del sottosegretario Giancarlo Giorgetti.
E ancora, l’accordo commerciale tra Ue e paesi del sudamerica, il cosiddetto Mercosur, contempla l’abolizione della maggioranza dei dazi sulle esportazioni europee per 4 miliardi di euro di dazi annui. Ma con il mal di pancia dei produttori italiani preoccupati di essere invasi da tonnellate di carne argentina di bassa qualità e a prezzi stracciati. Nessuna forza politica si è pronunciata sul punto, se non poche eccezioni, a dimostrazione di una generale difficoltà nell’approcciarsi a dossier strategici come quelli di politica estera.
Una deriva, quella italiana, che porta con sé il tragico rischio dell’irrilevanza internazionale nei tavoli che contano.
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