Lo avevamo osservato quando la pazza crisi agostana aveva appena chiuso i battenti. L’alleanza giallorossa al governo che, come da dettato costituzionale, è subentrata al Conte 1 presentava e presenta gravi limiti strutturali e strategici. Il Conte 2, la cui consistenza è stata misurata anche dai risultati delle elezioni regionali in Umbria, è nato con un vulnus: quello del consenso.
I primi passi del nuovo esecutivo, sferzato da venti di bora già un attimo prima che le urne umbre fossero chiuse, assomigliano a quelli dei governo Prodi a cavallo tra il 2006 e il 2008. Anziché lavorare per cementare quell’unità, il centrosinistra di allora volle a tutti i costi restare a Palazzo Chigi con i cosiddetti giochi di palazzo.
E per questo pagò dazio nelle successive elezioni, quando il centrodestra nel 2008 tornò al governo vincendo con quasi dieci punti di distacco rispetto all’Unione. E’il quadro che si presenta oggi.
Il crollo di consensi del M5s e di Forza Italia è sotto gli occhi di tutti, con la Lega sempre in testa tallonata a più di dieci punti di distanza da un Pd in crisi identitaria, mentre Fratelli d’Italia centra il suo risultato storico del 10%, a sole due lunghezze dal 12% che fece grande Alleanza Nazionale.
Il punto politico a questo punto è molto semplice: è di tutta evidenza come la manovra sia nata già con una tara tecnica, con gravissime discrepanze programmatiche tra i vari players della maggioranza, ognuno impegnato a portare a casa un pezzetto della manovra ma completamente avulso dal contesto generale.
Il governo nato con i favori dell’Europa ha già ricevuto un richiamo proprio da Bruxelles, che aveva visto con favore la nomina di Gualtieri in via XX Settembre. Ce n’è abbastanza perché chi ha la responsabilità dell’intera macchina governativa convochi un vertice straordinario e apra la crisi. Così si faceva durante la Prima Repubblica, quando al netto di difficoltà, sciatterie e mille governi cambiati in pochi anni, la politica era ancora una cosa seria.
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