Il Fondo – Dal governo dei migliori alle troppe riconferme

di Roberto Menia

Deludente. Termine forse abusato e magari scontato, ma certo il più spontaneo e sincero sgorgato a commento della lista dei ministri del governo presieduto da Mario Draghi. Doveva essere il governo dei “migliori” ma vi abbiamo ritrovato molti di quelli che già avevano colorito di ridicolo o di patetico il precedente Governo Conte. Pare di sparare sull’ambulanza a chiedersi come possa rappresentare l’Italia all’estero un ministro che non sa coniugare il congiuntivo né conosce la consecutio temporum: e chiediamo scusa per la terminologia latina che non si confà ad uno che parla di “vairus” per far vedere il suo profilo internazionale. Uno spettacolo stellare, anzi da 5 stelle. Certo se n’è andata, con uno dei suoi banchi a ruote, l’Azzolina.

A sostituirla è entrato un signore che afferma di aver “imparato” dallo radio di essere stato nominato ministro dell’Istruzione. Ottimo italiano, complimenti al suo sostituto, già consigliere comunale del PCI (Partito Comunista Italiano) per due consiliature a Ferrara.

Torna in campo all’Interno la Lamorgese, quella incaricata da Conte (edizione 2, la vendetta) di riaprire i porti alle navi delle Ong immigrazioniste, mentre mandavano sotto processo Salvini che quei porti aveva chiuso d’intesa con lo stesso Conte (edizione 1).

E intanto l’edizione Conte 3 sta in panca, pesto, dolorante e bruciacchiato dalle vampe di fuoco del Grande Drago: anzi sta ad un tavolino vuoto sotto palazzo Chigi, in attesa che qualcuno gli ridia qualcosa. E per fortuna anche il suo agiografo, Rocco Casalino del Grande Fratello, toglie le tende dal palazzo, regalandoci però una sua preziosa autobiografia, manco fosse Napoleone.

E che dire di Speranza, il cui cognome è l’unica cosa che ci resta, nonostante le prodezze sue e di Arcuri? Ci rimarranno decreti a oltranza, zone rosse, arancioni, gialle, bianche, blu, a pois. Ci resteranno le mascherine cinesi, la sensazione degli arresti domiciliari perpetui e di un’Italia malaticcia ed intristita. Eppure il ministro della (poca) Salute aveva scritto anch’egli un libro, dall’ammaliante titolo “Perché guariremo”: peccato abbia dovuto ritirarlo dalle librerie lo stesso giorno in cui era uscito, a causa dell’impennata dei contagi.

“Mai dire mai!” spiegherà, facendo sbellicare dalla risate i suoi uditori, il neoministro del lavoro (e vicesegretario del Pd) Andrea Orlando che, qualche giorno prima della nomina concessagli dal Dragone, tuonava in Tv a Otto e mezzo: “Mai entrerei in un governo di salute pubblica, presieduto da Draghi, di cui faccia parte Salvini, nemmeno se venisse Superman !” Infatti, eccoli al governo a braccetto.

Già, Salvini. Come interpretare il suo improvviso doppio salto mortale carpiato e la sua conversione al “governo europeista” di Mario Draghi? Ragion di stato dice lui, l’esigenza di rispondere all’appello del Capo dello Stato in un momento difficile per l’Italia. Alla fine, forse, diremo che ha fatto bene a non lasciare che Draghi guidasse un ipotetico governo sinistrorso con la medesima maggioranza del Conte bis (ma ci sarebbe stato?) eppure ne pagherà in termini di coerenza e di credibilità, avendo preso la strada opposta a quanto fino ad oggi predicato. E, soprattutto, ha in fondo accettato e legittimato il disegno dell’inquilino del Quirinale, dimostratosi un arbitro tutto meno che imparziale e che alla fine, ancora una volta, commissaria la politica. Con un banchiere.

Al contrario, la sola Giorgia Meloni ha dimostrato non solo coerenza nelle parole, nei comportamenti e nei fatti conseguenti ma anche (e qualcuno di sponda opposta l’ha sottolineato, dispiacendosi di doverle rendere l’onore) nell’adesione ai principi costituzionali: questo è un tempo in cui, con la scusa della pandemia si è attentato ai nostri diritti di libertà, di circolazione, di intrapresa, di espressione, di riunione e, infine, si è privato il popolo italiano del diritto di votare quando, come ha pubblicamente dichiarato lo stesso Presidente della Repubblica, una maggioranza in Parlamento non esisteva più.

Il problema erano le code ai seggi (ma per le amministrative che coinvolgeranno a primavera mezza italia il problema non sarà lo stesso…?) O i tempi. O, ancora, la nuova “ondata” del virus…

Lo scaltro Draghi, su questa lunghezza d’onda, ha raffigurato il suo come “governo che nasce in una situazione di emergenza raccogliendo l’alta indicazione del capo dello Stato”, e dunque “non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca, riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione, dei cittadini italiani tutti”.

Draghi ha detto: “Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione. L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro. Ma soprattutto grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti. Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale”.

Belle parole, anche immaginifiche, ma ci sia permesso di dire che si basano su una raffigurazione falsata della realtà. Oggi non siamo all’indomani di una guerra. Non ci sono terre perdute e popoli in fuga. Né città distrutte né genocidi. E nemmeno la peste nera con la gente che muore per le strade.

L’economia è a terra ma anche grazie alle grandi svendite del patrimonio nazionale. E’ a terra perché le aziende sono strozzate da un sistema fiscale ingiusto; è a terra perché calano i consumi e le famiglie si impoveriscono e non fanno nemmeno più figli; è a terra perché misure deliranti anticovid stanno affamando la gente e impedendo di lavorare a chi lo vuol fare; è a terra perché paghiamo gli interessi sul debito alle banche che sono diventate padrone degli stati.

C’è chi si è baloccato in questi mesi a spendere soldi pubblici per i monopattini e magari oggi viene coccolato con la “transizione ecologica” ma mancano soprattutto competenza, idee e cervelli: non li vediamo certo al governo i “migliori”. Piuttosto lasciamo che i nostri migliori cervelli se ne vadono in giro per il mondo privandoli di un futuro che l’Italia non garantisce loro, mentre i vuoti che lasciano vengono riempiti da chi sbarca con le navi delle ong.

Ha detto Draghi: “Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica”. Lo vogliamo anche noi e ci auguriamo che svolga con spirito patriottico il compito che gli è stato affidato.

Ha promesso quattro grandi riforme: sanità, scuola pubblica amministrazione, fisco. Sarebbe un programma di legislatura, più che di un governo “a termine”, ma staremo a vedere che cosa seguirà alle parole, valutandone i risultati, lavorando ogni giorno per la nostra Italia. Perché ognuno di noi, comunque, deve fare la sua parte, con onore e con l’orgoglio di essere italiano.

twitter@robertomenia

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