Carne sintetica? No, grazie. Perché sono meglio i nostri prodotti tipici

Il cibo e le tradizioni alimentari, sono parte della nostra matrice culturale. L’Italia è fortunata ad avere un patrimonio inestimabile di tradizioni e di cibi che il mondo ci invidia e che dobbiamo difendere. La “carne sintetica” è una minaccia per tutto ciò

Il Secolo scrive che l’ immunologa Antonella Viola, della università di Padova, si è pubblicamente dichiarata contraria al divieto di produrre “carne sintetica”, accusando il governo di scelte oscurantiste. La “virologa di sinistra”, come la definisce Il Secolo, è militante e categorica. Ma ignora una cosa fondamentale: il cibo, le tradizioni alimentari, sono parte della nostra matrice culturale.

L’Italia è fortunata per avere un patrimonio inestimabile di tradizioni e di cibi che il mondo ci invidia e che dobbiamo difendere. La “carne sintetica” è una minaccia per queste tradizioni culturali e, tra l’altro, anche per i 60 miliardi di euro di esportazioni annue di prodotti agroalimentari di qualità. 

Non potendo competere col la qualità dei prodotti tipici, una certa industria propone “commodities”, veri e propri prodotti indifferenziati, siano questi le farine di grilli o le proteine da “carne sintetica”. Questo per confondere i consumatori meno informati.

Per esempio: una società australiana ha appena annunciato di avere “sintetizzato” polpette di mammut, partendo dal DNA mitocondriale dell’animale estinto da decine di migliaia di anni (con integrazione di DNA dell’elefante attuale). La “scoperta” non viene commercializzata perché non si sa bene come potrebbe reagire il sistema immunitario o le papille gustative di coloro che la consumassero. Ma la attenzione mediatica aiuta la strategia di commercializzazione di carne di quaglia giapponese, sempre prodotta in laboratorio. 

Lasciamo parte l’aspetto cruciale che non si sa se la tecnologia sia “salubre” o meno quando la “carne sintetica” diviene cibo. A me interessano considerazioni economiche che paiono ignorate dalla Viola e molti altri.

Due considerazioni: la tecnologia in questione è replicabile in ogni “laboratorio” adeguato, cioè permette di produrre un prodotto indifferenziato in un ambiente generico. Se poi la tecnologia è particolarmente di successo, è difficile pensare non venga sfruttata commercialmente, dunque permettendo a un’azienda con accesso al brevetto e dimensioni tali da permetterne lo sfruttamento, dopo adeguate campagne pubblicitarie, di guadagnare lauti margini di profitto. Incredibile che non si pensi all’impatto sui nostri prodotti tipici.

Io non so cosa pensi la collega Viola, virologa, ma di sicuro sembra carente di elementare buon senso agroalimentare. Io non ho alcun desiderio di trasformarmi in un consumatore indifferenziato di un prodotto indifferenziato in un mondo scialbo privo di prodotti tipici d’eccellenza. Preferisco difendere i nostri prodotti tipici, che sono sostenibili come dimostrato dal fatto che sono prodotti in modo tradizionale da secoli, prodotti che rappresentano parte delle mie radici culturali. Insomma: io mi oppongo a questa entropia culturale camuffata da progresso scientifico e difendo i 60 miliardi di Euro di esportazioni annuali.

Bene fa il nostro governo a proibire le farine di grilli in pasta e pizza, a richiederne la dichiarazione in etichetta e vietare la produzione di “carne sintetica” di cui non si conosce la salubrità! Abbiamo un vantaggio che il mondo intero ci invidia: i nostri prodotti tipici. Dobbiamo difenderli dalle frodi ed imitazioni, dalla confusione, dall’appiattimento da entropia culturale. Perché mai rischiare di buttarli all’ammasso a favore di pseudo “innovazioni” che di fatto aiuterebbero lo sviluppo di un mondo orwelliano, scialbo, appiattito ed indifferenziato?

Francesco Braga, Dottore Agronomo

presidente, Canada 1, il circolo Canadese di FdI

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