Strage di Charlie Hebdo e il glossario che non torna

charliedi Roberto Menia

Se le parole hanno un peso, e lo hanno bello grosso, allora nella vicenda gravissima dell’attacco contro il giornale satirico parigino Charlie Hebdo serve mettere un punto e iniziare a riflettere su commenti e tweet. Tutti sono intenti a dire, giustamente, che guai confondere musulmani con assassini islamisti. Verissimo, i due piani di valutazione e azione sono da tenere ben distinti. Ma è altrettanto vero che, come la storia spesso ci ricorda (e ci insegna), sono esistiti anche terroristi nel nome di Cristo in passato.

Durante le crociate sono infatti state commesse le violenze più atroci, senza che ad accogliere i cavalieri tornati dalla Terra Santa in Europa vi fosse né la rete oggi zeppa di commenti brodosi (e spesso così fastidiosamente conformistici) né pletore di esperti schierati in tv per le consuete analisi collettive. Il problema è squisitamente legato alla libertà di espressione, religiosa, satirica e di espressione che purtroppo nei secoli ha subito duri e disdicevoli attacchi. Semplicemente, siamo in preda ad uno stato confusionale che ci fa smarrire i nomi delle cose e le direzioni di marcia delle stesse. Non ha senso cercare, tramite un falso buonismo, di interpretare o di decifrare fatti e azioni deprecabili. Serve mettere a fuoco e avere il coraggio della verità.

Quel sangue versato mille e più anni fa è come quello sparso per le strade parigine oggi. Quando il fanatismo religioso e perché no, anche politico, si impadronisce volgarmente di menti e braccia, ecco il macabro risultato fare capolino in una società sempre meno dedita all’osservazione e iper fanatizzata sull’altare di ideologie dietro cui nascondersi.

Un assassino è tale e tale resta, ma con la differenza che oggi nel nome di Cristo non uccide nessuno. Altri lo fanno, siano hindi o mussulmani.

twitter@robertomenia

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