Maastricht, Patto di Stabilità. E poi Fiscal Compact, parametri europei sino alla crisi che nell’ultimo lustro ha flagellato l’Europa. “Non chiamatelo euro” è un interessante pamphlet vergato dal giornalista del Tg1 Angelo Polimeno che, ricostruendo le intricate vicende sull’asse Berlino-Maastricht-Bruxelles, prova a dare qualche risposta alla crisi della moneta unica, quando i tedeschi proposero di cambiare i punti controversi con un semplice regolamento, che non doveva essere approvato dai Parlamenti né sottoposto ad un referendum. “Peccato che un regolamento non potesse cambiare un trattato. Quel regolamento si chiama Patto di Stabilità e fu fatto firmare a tutti”.
Dal Trattato di Maastricht al Patto di stabilità: dove iniziano i guai dell’Italia?
Iniziano dopo la firma del Trattato di Maastricht dove, grazie al grande lavoro svolto nella trattativa da Guido Carli, ministro del Tesoro nel governo Andreotti, e grazie alla sua personale credibilità di cui godeva a livello internazionale, in particolare in Germania, si giunse ad un compromesso che prevedesse un rigore possibile. Ovvero un percorso che avrebbe dovuto portare l’Ue al varo della moneta unica, attraverso regole stringenti che contemplasse un rigore oggettivo e realizzabile, non uno che spezzasse le economie dei Paesi membri come purtroppo in seguito è accaduto. Per cui sino al Trattato si tracciò un certo percorso.
E dopo?
Pochi giorni dopo, e a non anni, cambiò tutto: entrò in vigore ufficialmente il 7 febbraio 1992, dopo l’approvazione da parte di tutti i Parlamenti e in alcuni paesi a seguito del referendum. Passarono trenta giorni e in Italia accadde una cosetta che lascerà segni indelebili: Tangentopoli. Di fatto la politica italiana venne rasa al suolo, saltarono tutti i partiti di governo, l’esecutivo Andreotti uscì di scena, e anche Carli. Ci furono anche le stragi di mafia, gli assassini di Falcone e Borsellino, poi nel mese di settembre un attacco speculativo contro la lira, la svendita dei gioielli di Stato che vennero pagati con una lira svalutata del 20%, per cui sostanzialmente regalati. Insomma un’Italia debolissima: una condizione che incentivò la Germania, la quale aveva subito alcune morbidezze contenute nel trattato (e che lo rendevano digeribile). In più Berlino aveva fretta di riunificarsi.
Quanto influirono le pressioni della Bundesbank per cambiare il criterio della tendenzialità e la sospensione?
Moltissimo, perché alla Bundesbank il trattato non andava bene perché prevedeva i tre parametri per la valutazione del rapporto deficit-pil. Ricordiamo che alla fine degli anni Ottanta l’Italia aveva un debito pubblico del 105% e Maastricht fissò il limite massimo del 60%. Carli disse a Kohl che se avesse voluto Italia e altri paesi membri rientranti in quel limite, beh avrebbe potuto farsi l’euro per conto proprio, in quanto per Roma avrebbe significato la chiusura di imprese, una serie di licenziamenti, con una rivoluzione sociale difficilmente gestibile. Se invece la richiesta ai paesi fuori dai parametri era quella di dimostrare la tendenza annuale, graduale e costante a rientrare dal livello di debito pubblico a quel momento sino al 60%, allora l’impegno avrebbe avuto un senso. Questo fu il passaggio più vistoso, perché proprio il termine della tendenzialità fu quello che i tedeschi vollero cancellare. E quando l’Italia dopo Maastricht diventò debole, partirono all’attacco per eliminare quella parolina.
Come riuscirono i tedeschi a farlo?
Con una strada legittima, cambiando il trattato europeo con un altro trattato europeo. Dopo Maastricht i tedeschi provarono a rimettere seduti attorno ad un tavolo i quindici, ma non riuscirono a trovare più un punto di sintesi. A quel punto furbescamente proposero di cambiare i punti controversi con un semplice regolamento, che non doveva essere approvato dai Parlamenti né sottoposto ad un referendum. Peccato che un regolamento non potesse cambiare un trattato. Quel regolamento si chiama Patto di Stabilità e fu fatto firmare a tutti.
Quale il ruolo giocato da Prodi?
I maligni sostengono che Prodi, assieme a Ciampi, avallò il Patto perché intenzionato a portare merito agli occhi della Germania: sono supposizioni non supportate da fatti. Probabilmente alla base vi fu il fortissimo rapporto di amicizia con il Cancelliere Kohl che chiese al professore di firmare perché in quel momento stretto dall’opposizione e dall’opinione pubblica, magari promettendo di chiudere un occhio su futuri parametri. Ma come sappiamo Kohl poi uscì di scena, investito da uno scandalo, quindi l’Italia in quel momento “si suicidò”.
Guardando l’eurocrisi in prospettiva, è colpa della moneta unica o di regole uguali per paesi ancora diversi?
Credo di entrambi gli elementi, anche perché si tengono assieme. E’chiaro che la moneta unica, un’operazione delicatissima, era prevista in tutti gli allegati a Maastricht che venisse immediatamente seguita dall’unione politica. Sarebbero dovuti essere diversi anche i poteri della Bce, mentre invece sono venuti meno una serie di meccanismi. Aggiungo che tutte le correzioni al Patto di Stabilità sono di fatto regole illegittime, perché cambiano i trattati senza un nuovo trattato. La situazione in seguito si fece ancora più complicata perché i membri salirono a 28. Inoltre ricordiamo tutti la Convenzione europea, che in quel momento fece l’estremo tentativo di costruire una Costituzione, ma senza fortuna con il no al referendum dei francesi: quel frangente segnò una sorta di resa. Tutti i trattati successivi a Maastricht, come Amsterdam e Lisbona, nella parte economica replicano Maastricht tale e quale proprio perché non c’è più accordo. E allora tutto l’insieme di regole che oggi ci sta strozzando, come il Fiscal Compact, giova ricordare che è fuori dai trattati europei: non potrebbero cambiare i trattati ma lo fanno.
In questo l’Italia sconta una deficienza qualitativa della classe dirigente nostrana in Ue?
Non sono un politicamente nostalgico, ma segnalo che la Prima Repubblica aveva tanti guai (e molti li stiamo pagando ancora oggi), però aveva una classe politica che in Europa era molto più presente in quanto consapevole e fortemente conoscitrice dei meccanismi. Andreotti avrà avuto molti difetti, ma dava del tu alle cancellerie europee e veniva ascoltato da Kohl e Mitterand. Aveva anche chiara la percezione del peso italiano di allora, non forte come la Germania ma comunque uno dei fondatori: perché per fare politica estera è necessario conoscere se stessi in primis. Se si ha una sovrastima di sé, poi si finisce con un pugno di mosche in mano. Non a caso i problemi italiani in Europa si manifestarono con la fine della Prima Repubblica, perché in seguito non fummo capaci di produrre una classe dirigente all’altezza.
Il caso greco può essere considerata la prima scossa del grande eurosisma?
Per semplificare, dico che la Grecia non è un’economia forte e certamente ha commesso molti errori con furbizie e conti truccati, ma va ricordato che prima di entrare nell’euro non aveva avuto rischi default. Non sarà stato un Paese virtuoso, ma almeno si ammetta che le relazioni geopolitiche hanno prevalso su quelle economiche di cui ci si deve fare carico non nell’interesse della Grecia, quanto nell’interesse di tutta l’Ue. Occorre creare meccanismi che certamente richiamino al rigore la Grecia, ma che non la soffochino. Se al malato che devo curare somministro dieci pasticche anziché le tre che prescrive il medico, finisco per ucciderlo. Il tutto viene presentato con la logica che chiunque rifiuti la cura da cavallo della troika allora intende fare lo spendaccione in giro per l’Europa: ma non è così. Resto convinto che ci possa essere una cura costituente possibile che aiuti il malato a riprendersi.
In che modo?
La moneta unica non è una realtà in vigore da due o tre anni, per questo credo che un bilancio serio vada fatto al più presto così come è abitudine in tutte le aziende. L’Italia è da vent’anni oggetto di cure su pensioni e welfare, ma con il risultato sotto gli occhi di tutti che il debito pubblico non è mai sceso, al contrario del Pil. Un’azienda normale con questi dati sul tavolo riunisce di corsa il Cda e ammette che i tentativi sono falliti, per cui serve trovare un’altra strada.
Tra Grexit e Brexit, che anno sarà per la moneta unica?
Abbiamo a che fare con una materia non perfettamente scientifica, a causa di molteplici fattori secondari determinanti. Per cui credo che il bilancio di questi anni con l’euro in tasca non possa essere ignorato. Un dato di certezza sta nel fatto che la formula adottata sino ad oggi non funziona e va rivista. Se non lo si farà, anche a causa delle numerose crisi internazionali al momento aperte, altri casi greci purtroppo potrebbero non essere scongiurati. E mi chiedo: la politica cosa fa?
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