Il caso Libia: l’Isis si combatte con lavoro e imprese (italiane)

proxyLo Stato Islamico? Si combatte anche togliendo i kalashnikov dalle mani dei 15enni ingaggiati dall’Isis e dando loro un lavoro. E’una delle tracce seguite dalla trasmissione Spazio Transnazionale andata in onda su LiberiTv e dedicata al caso libico. Ospiti del direttore Gianni Colacione, il Presidente della Camera di Commercio italolibica, arch. Gian Franco Damiano, e il direttore di Prima di Tutto Italiani Francesco De Palo (animatore del blog Rete Libia).

Punto di partenza il tentativo dell’Onu di legittimare il governo Serraj, che si scontra con l’avanzata da oriente delle truppe del Generale Haftar, spalleggiato dall’Egitto.

Secondo Damiano uno dei maggiori problemi sul campo è legato ai danni che sino ad oggi hanno subito le imprese italiane, anche antecedenti al 2011, anno della caduta di Gheddafi. “Uno spazio imprenditoriale che si è ristretto per le aziende italiane e che oggi rischia di non aprirsi dal momento che mentre Londra e Parigi hanno da alcuni mesi inviato in Libia una task force ad hoc, l’Italia è ancora alla finestra”. E ha messo l’accento sui crediti certificati pari a un miliardo di euro vantati dalle aziende italiane (650 milioni dal 2011 ad oggi) che nessuno riesce a sbloccare, nonostante il Trattato di amicizia siglato tra Berlusconi e Gheddafi prevedesse un esplicito accantonamento annuo di una cifra dedicata.

Secondo De Palo il dossier mediterraneo sui migranti si intreccia con la crisi politica in Libia perché all’indomani della chiusura della rotta balcanica, con il filo spinato a Idomeni al confine tra Grecia e Fyrom, e i vari blocchi al Brennero e in alcuni paesi balcanici, ecco che i trafficanti di migranti hanno già imboccato altre strade. “I quasi diecimila arrivi in Sicilia delle ultime settimane dimostrano che con la Libia andrà trovato un accordo sui migranti. Ma non come quello, già scricchiolante, raggiunto con Ankara e una Turchia sempre più in versione dittatoriale, con giornalisti arrestati, vignettisti minacciati, e diritti ridotti a utopia sociale. Bensì più lungimirante, che investa il territorio locale, inteso soprattutto come creazione di posti di lavoro per impedire che i 15enni libici vengano reclutati dall’Isis come foreign fighters. Qualche giorno fa, il generale Paolo Serra, consigliere militare del rappresentante dell’Onu per la Libia Martin Kobler, audito dalle commissioni parlamentari di Camera e Senato per il caso migranti ha osservato che la situazione libica è disastrosa. Sui migranti pende la spada di Damocle del controllo dei campi rifugiati, gestiti da milizie e banditi, e dei flussi che partono sia dalla Libia che dall’Egitto”.

E aggiunge: “Un intervento internazionale si dovrà articolare lungo svariati aspetti, politici e tecnici, che sino ad oggi sono stati ignorati. Che la Libia debba avere un governo di accordo nazionale, e che questo governo debba chiedere l’intervento internazionale, è pacifico, come sta accadendo in questi giorni. E l’intervento dovrebbe sì coprire la sicurezza, ma lasciando ai libici le azioni di forza. E torniamo al nodo da sciogliere, che è l’Egitto, un Paese che non partecipa ai processi di stabilizzazione, ma persegue interessi solo nazionali”.

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