di Enzo Terzi
Enrico Mattei era cittadino onorario di Civitella Roveto, centro che nel 1868 aveva dato i natali a suo padre Antonio. Pur essendo nato nelle Marche, dove il padre si era trasferito per lavoro, Mattei ha sempre conservato un profondo legame con l’Abruzzo e con i luoghi d’origine paterni. Quest’anno cadono i 50 anni dell’inaugurazione a San Salvo (Aldo Moro con l’on. Giuseppe Spataro) del moderno stabilimento della Siv voluto appunto da Mattei. La Società Italiana Vetro (odierna Pilkington) rappresentava il segnale concreto della svolta. Non solo per il territorio dove si decise di realizzare il grande complesso industriale delle Partecipazioni Statali nel maggio del 1962 (5 mesi prima dell’oscuro incidente aereo in cui morì Mattei) ma per l’effettiva rinascita di tutto il Sud.
«Salgo, pago la corsa, scendo». Così riferì in una intervista Enrico Mattei in risposta ad una domanda circa i suoi legami con i partiti politici, soprattutto quelli, allora, più scomodi. Ve n’è già di che innescare la più mirabolante delle polemiche. Soprattutto perché dimenticheremmo in un attimo l’unica caratteristica sulla quale storici e politici hanno o hanno dovuto convenire: Mattei è stato il un grande servitore civile dello Stato Italiano (nonostante le famose ed aspre critiche giornalistiche di Montanelli che erano chiaramente gestite dai nemici che il “self made men” si era fatto, oltre ovviamente ai suoi inevitabili nemici).
Ma tornando all’affermazione che ci ha fatto da incipit va riconosciuto che in essa si fondono le caratteristiche del personaggio in modo sapiente. Industriale prima e dopo la caduta del fascismo, ha saputo organizzare il proprio passaggio dalla vecchia alla nuova Italia attraverso un fine lavoro soprattutto politico che ha fatto da supporto alle sue indubbie capacità manageriali tanto da risultare da subito gradito ai nuovi nonostante che il passato, in epoca di riscatti, rivincite, epurazioni e facili accuse, non gli agevolasse certamente il cammino. Tuttavia, qui si impone l’eccezione (non l’unica che s’imporrebbe) e se anche nel 1931 prende la tessera del Partito Fascista e diviene fondatore di una attività industriale evidentemente con il beneplacito governativo, appare chiaro il suo motto “salgo, pago la corsa, scendo” quando nel 1942 lo vediamo avvicinarsi alle frange cattoliche del movimento partigiano fino ad entrarvi, finalmente sciolte le riserve ed i pregiudizi, nel 1943. Il riconoscimento di questo impegno (e del suo motto) sarà definitivamente pubblico quando il 6 maggio 1945 sfilerà in prima fila dopo la liberazione di Milano insieme a Longo, Parri e Cadorna.
Nello stesso 1945, grazie alla spinta di Merzagora, divenne commissario della SNAM e dell’AGIP, lì inviato con il compito di sovrintendere alla dismissione. In questo momento prenderà avvio – seppur ancora inconsapevolmente – la lunga battaglia contro il cartello del petrolio, al secolo le “Sette sorelle”, ovvero quel gruppo di compagnie petrolifere inglesi ed americane che, in virtù della vittoria riportata dai loro paesi nella seconda guerra mondiale, avrebbero dovuto spartirsi l’intero mercato europeo (la Standard Oil of New Jersey, la British Petroleum, la Standard Oil of California, la Gulf Oil, la Royal Dutch Shell, la Socony Mobil Oil e la Texas Oil), con santa approvazione dei residui dell’industria privata italiana. E gestire il mercato dell’energia significava (e significa) gestire l’industria e quindi l’economia dei paesi.
Mattei non ci sta. E trova in questa sua caparbietà non solo alcuni appigli concreti come il ritrovamento del metano a Caviaga (metano che servirà più per usi domestici che non per impieghi industriali) ma anche l’appoggio non cercato quanto evidente di buona parte della sinistra, che iniziava a vedere nelle pieghe del Piano Marshall non solo una condizione determinante alla ricostruzione del paese ma anche una via obbligata a far prosperare le industrie anglo-americane ed un sempre più fermo ostracismo contro l’URSS dell’ex-alleato Stalin. Da destra, anche se talvolta con maggiore moderazione in quanto molti rappresentanti erano legati ad altre “casate” di industriali, non mancò comunque il supporto visto che l’azione di Mattei riproponeva in una vesta nuovamente candida quel nazionalismo autarchico che avrebbe giovato alla ripresa ed al rinnovamento del nome “Italia”.
A Cortemaggiore, il 12 giugno 1949 – forse in modo abilmente orchestrato nella tempistica ma indubitabile nei fatti – in occasione della visita dell’allora Ministro delle Finanze Ezio Vanoni, il petrolio inizia ad uscire da uno dei pozzi di trivellazione. E’ la consacrazione di Mattei e del suo rifiuto a rottamare senza una accurata verifica, anni ed anni di risorse e di denaro. Nel 1953 viene fondato l’ENI, nel 1956 fonda invece il quotidiano “il Giorno”, conscio di come sia necessario avere una componente mediatica che possa amplificare il suo sogno.
Erano altri tempi, è d’obbligo sottolinearlo. A Mattei l’aneddotica imputa più di 8.000 trasgressioni della legge, imputa il reiterato finanziamento occulto ai partiti (tanto da essere da parte di alcuni, additato come l’iniziatore della pubblica corruzione su vasta scala), non nascondeva in ultimo la sua, talvolta imbarazzante, passione per le donne. Tanto sarebbe bastato oggi a finire sulla gogna ogni santo giorno, più volte al giorno (mi viene da sorridere cercando di pensare se Berlusconi avesse fatto per la Rai quanto ha fatto per la sua Mediaset: credo che l’avremmo parimenti ingiuriato).
Ma la “Supercortemaggiore, la potente benzina italiana” piaceva e Mattei proseguiva indisturbato. E se il petrolio in buona parte imponeva battaglie internazionali, sul fronte interno la crescita delle aziende ENI continuava a produrre non solo ossigeno per l’economia italiana ma soprattutto lavoro per tante di quelle decine di migliaia di persone rimaste senza niente dopo la guerra. E tanto era inarrestabile questa spinta verso un futuro nuovamente dignitoso che anche i più puri, come il sindaco fiorentino Giorgio La Pira lo chiamarono a salvare una vecchia gloria della città: la Pignone, fabbrica devastata durante la guerra e la cui conversione in industria tessile non aveva funzionato. Nel gennaio 1954 Mattei fece sorgere da quelle ceneri la “Nuovo Pignone” industria che oggi, pur essendo stata ceduta alla General Electric nel 1993, detiene una quota rilevante del mercato mondiale delle turbine a gas e a vapore, compressori centrifughi e alternativi.
Ma non fu questo un episodio isolato. La crescita dell’Agip portò alla creazione della Saipem, alla costruzione della catena dei Motel Agip che per anni sono stati una icona delle nostre autostrade, la costruzione di centinaia di km di gasdotti, la creazione della SIV a Vasto (azienda che seppur sotto altra proprietà oggi compie sessant’anni), la costruzione del polo petrolchimico di Ravenna attraverso la ricostruita Anic che si occupò anche del grande polo petrolchimico di Gela. Efficiente la rete dei distributori di benzina, Agip naturalmente, che viene venduta ai costi più bassi in Europa. Tutto ciò portava il marchio di Enrico Mattei. Ed anche il sud, finalmente, iniziava a non sentirsi dimenticato.
In mezzo a questo turbine di investimenti e di frenetica ricostruzione occorre soffermarsi ancora su un fatto che rischia continuamente di essere dimenticato: Mattei era un funzionario ed un dirigente dello Stato Italiano e tra i suoi nemici più accaniti vi era l’industria privata italiana e di mezzo mondo.
Se da un lato in nome dello stato cercava di promuovere la crescita del lavoro attraverso le numerose grandi imprese che fiorivano, studiava un più vantaggioso approvvigionamento energetico, cosciente anch’egli che il fabbisogno non avrebbe potuto essere soddisfatto dai giacimenti italiani tanto da andare anche – a quei tempi si disse “addirittura” – in Unione Sovietica dove trovò facilitazioni economiche rispetto al monopolio delle Sette Sorelle (per non parlare degli accordi con lo Scià di Persia in quell’Iran che dagli inizi del ‘900 era dominio incontrastato degli inglesi); dall’altra, per contro, ci stava instradando al quel consumo di massa che con il passare degli anni ci avrebbe travolto. A quel tempo non si poteva ancora chiamare tale, era solo l’obiettivo forse populista ma non troppo di “una macchina ed una casa per ogni famiglia” (anzi come disse in una intervista: “di una camicia pulita per ogni uomo che torna dal lavoro”). Erano sogni ai quali, complice il favorevole terreno di un Paese in fase di ricostruzione, tendeva caparbiamente. Eravamo stati un paese i migranti fino a poco prima della guerra.
Sarebbe stato curioso invece, vedere se Mattei una ventina di anni fa sarebbe stato in grado di fermare questa onda di consumo e renderla razionale, coerente e cosciente come era nei suoi intendimenti. Ma eravamo allora lontani anni luce dalla realtà contemporanea e se anche la storia in realtà sembrerebbe non dargli ragione perché agli uomini è stata riempita sì la pancia ma non è stato ricostruito il senso né civico né di responsabilità, ambirei che nel Paese vi fosse di nuovo lotta tra persone di quella risma e non fra mediocri faccendieri evidentemente al comando di un popolo che, nei momenti importanti, dimostra di essere mediocre. Non mi si dirà che l’attuale parlamento è là insediato e protetto dai fucili no? Diciamola tutta: gente come Mattei fu necessario allora eliminarla con una bomba, oggi sarebbe stato lapidato su Facebook.
Probabilmente questo impedisce anche, oggi, di valutarne in maniera corretta l’operato sul quale permangono fronti opposti di opinioni. Resta il fatto che nell’immediato dopo guerra fu capace non solo di dare un enorme contributo al rilancio del Paese ma, inoltre fu capace di riallacciare rapporti con quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo dal quale oggi siamo incredibilmente distanti (Egitto, Algeria, Marocco e pur’anche Libia). Quello che avrebbe dovuto essere il terreno fertile per alleanze e cooperazioni l’abbiamo fatto divenire un bacino le cui coste vediamo unicamente con enorme apprensione e l’Italia non è certo quel centro nevralgico dell’energia che invece potrebbe anche spettargli e che gli avrebbe permesso di conservare le proprie industrie. E del sud potremmo dire forse in parte la stessa cosa. Esauritasi la spinta iniziale si è inesorabilmente ricostituita quella disparità piena di luoghi comuni tra l’altro – che impedisce di guardare con spirito collaborativo, teso al benessere nazionale con cui dovremmo guardare a quelle zone che dagli anni ’70, esaurita la spinta iniziale, hanno ricominciato a pensare al sud al modo dei Savoia. La morte di Mattei dette immediato sfogo alle correnti politiche ed industriali contrarie e Cefis, il successore, decisamente più legato all’’industria privata italiana che Mattei aveva sacrificato, ben presto fece rientrare la politica energetica italiana nell’alveo dei dettami di quell’atlantismo che altro non era se non il volere delle Sette sorelle.
E di quei paesi del Mediterraneo che Mattei voleva come partner attivi e con i quali aveva instaurato rapporti diretti per l’Italia, arrivando addirittura a far venire tecnici locali a frequentare stage di perfezionamento presso l’Eni per poi poter ritornare a lavorare su impianti la cui gestione prevedeva un simbiotico guadagno, cosa resta oggi?
E’ questa la storia dei personaggi forti, quelli che necessitano ma che si temono, quelli che si auspicano ma poi si condannano al primo passo, quelli che avrebbero il coraggio ma che Montanelli stigmatizzò come potenziale dittatore (indotto non certo da acceso spirito democratico quanto dal preferire altri interessi), quelli capaci di coinvolgere un paese nella costruzione del futuro. E se diamo un colpo d’occhio all’industria italiana di oggi, alla sua classe politica, non resta forse che recitare un sano “mea culpa”. Emigranti eravamo ed emigranti siamo tornati ad essere.
Ieri partivano contadini e braccianti, oggi partono laureati. Le grandi imprese, come si usa dire, “delocalizzano” ovvero se ne vanno, in ultimo pure Briatore (bontà sua) ci dà lezioni di politica e di strategia imprenditoriale. Mutatis mutandis ben poco è cambiato.