di Matteo Zanellato
L’avanzamento dei partiti populisti nel sistema politico europeo testimonia la richiesta di cambiamento in Europa. Una richiesta che non ha un’appartenenza politica riconducibile alle vecchie etichette del ‘900, ma che è pronta a creare nuove fratture in una società stanca e omologata come quella in cui stiamo vivendo. Si è visto che i partiti populisti ottengono buoni risultati ma o non riescono a vincere o, se vincono, a cambiare le cose come avevano promesso. Possiamo quindi dire che la crescita dei partiti populisti sia soltanto la presa di coscienza della necessità di cambiamento, ma ad impersonarlo non sono questi ultimi.
Per capire al meglio da dove proviene questo grido d’aiuto, bisogna analizzare la società di oggi, partendo dall’ambiente.
Il luogo in cui vive l’uomo contemporaneo è quello del progresso tecnologico. Il filosofo tedesco Hegel a cavallo tra il ‘700 e l’800 si rese conto che la ricchezza delle nazioni non dipendeva più dai beni posseduti, ma dagli strumenti, in quanto i primi si utilizzano e i secondi si producono. Fu Marx ad applicare questo principio all’economia, indicando il denaro che da mezzo diventava fine dell’attività umana. Galimberti sviluppa ulteriormente questo teorema, spiegando come la tecnica da mezzo universale per realizzare qualsiasi scopo sia diventata l’unico scopo da realizzare, sacrificando tutti gli altri.
In questo ambiente l’uomo diventa un funzionario della tecnica, senza scopi, con l’unico obiettivo di far funzionare le macchine. Günther Anders fa risalire la nascita della società della tecnica al nazismo, in quanto «l’uomo ha visto trasformare la sua attività non più nella forma dell’agire, ma del puro e semplice fare», spiegando come l’agire fosse «compire un’azione in vista di uno scopo», mentre il fare sia «seguire le azioni senza conoscerne gli scopi finali o senza avere delle responsabilità su queste». In questo ambiente fatto da funzionari potranno svilupparsi solo persone omologate e uniformate, livellate (e aggiungerei verso il basso). Tutti sono uguali, perché funzionali a far crescere il progresso tecnologico. In questo ambiente, insomma, crescono i nichilisti.
Anche la politica ha subito questa trasformazione della società. Sia chiaro, qui non si vuole urlare al complotto contro la democrazia. Se democrazia è il diritto di poter scegliere i propri rappresentanti, questo diritto non è mai stato così garantito. Ogni anno l’elettore italiano ha diritto di esprimere un suo voto a livello locale, nazionale o europeo. L’avvento del web e di alcuni aggiustamenti a leggi elettorali e trattati europei hanno reso ancora più diretta la selezione degli organi esecutivi. Il problema è che le istituzioni democratiche non sono più il centro in cui si fanno le scelte politiche. La politica ha ceduto alla sfera economica, e quindi alla tecnica, la facoltà decisionale.
Alain De Benoist sottolinea come alla cessione di sovranità a cui gli Stati europei hanno acconsentito non sia susseguito un rafforzamento della sovranità europea, preferendole lo sviluppo della sfera economica. La Commissione Europea, organo funzionale per eccellenza, non ha potere politico ma tecnico, di applicazione dei regolamenti. Il meccanismo europeo di stabilità è un’agenzia creata ad hoc, dove nessun rappresentante eletto dal popolo ha potere di decisione. Il filosofo francese sottolinea inoltre come, da Maastricht in poi, l’Ue abbia perso l’occasione di essere un rimedio alla globalizzazione senza regole, diventandone piuttosto una tappa intermedia. Sempre De Benoist sottolinea come l’Europa di oggi abbia prediletto l’economia alla cultura, e quindi all’identità.
Il trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali a Bruxelles ha reso meno decisivo anche il ruolo delle classi politiche nazionali. Per Galimberti, appunto, il politico diventa un mediatore utile a far in modo che gli apparati funzionali diano buoni risultati.
Se l’uomo vive nell’ambiente della tecnica, la politica dissestata di oggi è l’ambiente del partito politico. Oggi i partiti vivono una crisi irreversibile, non riescono più a suscitare passione tra gli iscritti e attraggono sempre meno persone al voto. Da anni continuano a perdere iscritti, i militanti si rendono conto di contare sempre meno. I temerari rimangono aggrappati agli ideali che il partito “dovrebbe” rappresentare, mentre gli altri, disillusi, abbandonano la militanza politica, aumentando ulteriormente il distacco della politica dalla società. In un mondo dove la politica conta sempre meno, il partito non sembra avere più ragione di esistere.
In realtà un raggruppamento di coraggiosi e volenterosi che si opponga a questo scenario catastrofico è auspicabile che nasca nel più breve tempo possibile. Queste poche righe non sono un manifesto contro il progresso tecnologico, bensì la presa di coscienza che il declino può essere fermato. Sarà un movimento conservatore, in un senso diverso da quello inteso fino ad oggi. Dovrà nascere per salvare l’Europa, terra natale del pensiero occidentale, dal suo altrimenti inarrestabile declino. Dovrà salvare l’uomo dalla perdita della sua essenza di essere umano, per farlo tornare insomma l’«animale politico» descritto da Aristotele.