Il fondo: ripartiamo dalla sovranità della lingua italiana

lingua-grandeDi Roberto Menia

“Conosci la terra dei limoni in fiore, dove le arance d’oro splendono tra le foglie scure, dal cielo azzurro spira un mite vento, quieto sta il mirto e l’alloro è eccelso, la conosci forse?” Parlava così Johann Wolfgang Goethe della nostra Italia, alta, bella e fantastica Patria. Spesso amata e decantata da quegli stranieri che se ne innamorano.

Ne apprezzano anche un altro elemento, altrettanto bello e soave, che fomenta le passioni ed è magico nel descrivere le vite e nel raccontare le storie: la lingua. Quell’italiano che Dante Alighieri distinse in lingua “d’oil” (da cui oui, in francese), parlata nel centro-nord della Francia; lingua “d’oc”, parlata nel centro-sud della Francia (Occitania) e utilizzata soprattutto dai poeti trovatori; e lingua del sì (cioè la nascente lingua italiana). La nostra lingua, dunque, come collante che unisce le mille bellezze dei borghi e delle regioni, le storie di partenze e arrivi, le battaglie per la libertà e per i nostri pezzetti di terra che, comunque vada, sono attraversati da sangue italiano.

Ed è proprio pensando a questa grande lingua che va individuato il primo punto per auspicare una rinascita, civile, culturale, sociale. Dopo il “medioevo” in cui il vecchio continente è piombato, la nostra Italia può rinascere puntando anche sui suoi talenti. La lingua come nuovo patto sociale, per ricostruire ciò che è andato distrutto; per riannodare i fili di una storia millenaria che non può finire per colpa di debiti e spread; per innescare finalmente un meccanismo virtuoso; per sentirci orgogliosamente italiani.

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