Pochi giorni prima del sessantesimo anniversario dei trattati di Roma, il Presidente della Commissione Europea Juncker ha presentato il “libro bianco sul futuro dell’Europa” con obiettivo di stimolare il dibattito nel vertice di Roma e per tutto il 2017 per il futuro dell’UE dopo Brexit, anno di elezioni che potrebbero cambiare il futuro e le prospettive dell’UE in Olanda, Francia e Germania – con l’incognita Italia.
Il libro bianco comprende cinque scenari, il primo intitolato “Avanti così”, il secondo “Solo il mercato unico”, il terzo “Chi vuole di più fa di più”, il quarto “Fare meno in modo più efficiente” e l’ultimo “Fare molto di più insieme”. Il documento, più che una base di riflessione seria che permetta la ripartenza ad un progetto di integrazione stanco, sembra un ennesimo assist alla Merkel. Un documento vuoto che ha assecondato le dichiarazioni della Cancelliere tedesca che, il 3 febbraio scorso, a margine del vertice di Malta, aveva prospettato un futuro dell’UE a «differenti velocità».
Se la Commissione si fosse espressa politicamente avrebbe potuto dare un disegno concreto a cui aderire o meno ai milioni di elettori europei che si esprimeranno nel corso dell’anno. Senza un’europeizzazione dei discorsi e delle campagne politiche i cittadini europei si sentiranno sempre più esclusi dai “palazzi del potere”.
Oggi più che mai è palese che l’UE attuale non è altro che un gigante con i piedi di argilla. Non può risolvere i problemi della disoccupazione e delle incertezze dei più giovani, che uniti attanagliano gli Stati membri, e non ha basi storico culturali sufficientemente radicate per aver voglia di superare insieme la crisi economica, sociale e politica che sta attraversando. Lo stesso Juncker ha ammesso di fronte al Parlamento europeo i limiti dell’UE sulla problematica della disoccupazione giovanile, affermando che l’UE non ha sufficienti poteri per risolvere questo problema, prerogativa ancora in mano agli Stati membri.
Per risolvere i due problemi che reputo fondamentali, la Commissione doveva agire diversamente. D’altronde è sotto gli occhi di tutti che l’UE pensata a Maastricht e consolidata con il trattato di Lisbona può risolvere alcuni problemi di bilancio, ma non la questione della disoccupazione e tanto meno quella dell’identità europea. Continuare così con il primo scenario non porterebbe novità strutturali, visto che la lisbonizzazione non è ancora avvenuta. Il secondo scenario che prevede un’UE “all’inglese”, in cui si salverebbe soltanto il mercato unico sarebbe ad oggi una soluzione più semplice ma anche la dimostrazione di non avere prospettive per il futuro dell’UE.
Il terzo scenario è quello dell’UE a più velocità, un’UE che amplia le differenze e le diffidenze tra stati membri. Juncker ha fatto l’esempio dell’Euro e di Schengen per dire che differenti livelli di integrazione esistono e portano alla maggiore integrazione degli altri. Ma non ha tenuto conto che nel 1990 e nel 1992 la volontà generale era quella di procedere con l’integrazione, non bloccarla. Il quarto e il quinto scenario prevedono un’UE maggiormente integrata o soltanto in alcune politiche o su tutte. Juncker non ha dato la sua preferenza, respingendo però l’idea dell’UE ridotta ad area di libero scambio e sottolineando che non è dovere esclusivo della Commissione di dare soluzioni e assicurando che si esprimerà nel discorso di metà mandato che farà a settembre davanti al PE.
Per chi scrive, l’UE deve accelerare il processo di integrazione, con un percorso comune di maggiore “accentramento” di sovranità sulle tematiche importanti, come l’istruzione, e la definizione di un’identità basata sulla sua storia e non soltanto su seppur corretti valori universali. Se, invece, sarà scelta l’UE a più velocità, l’Italia avrà l’obbligo morale di essere nel primo gruppo.
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