Il fondo: ecco le dieci azioni per il futuro (luminoso) del Ctim

Di Roberto Menia

Ho vissuto questi anni alla guida del Ctim come adempimento di un dovere morale che sentivo di avere verso Mirko Tremaglia, fondatore di questa gloriosa associazione – che in ogni angolo del mondo ha tenuto e tiene alto il tricolore della Patria – che mi nominò Coordinatore Generale della stessa poco prima di lasciarci per andare oltre le stelle.

Lasciatemi ricordare la sua figura con le stesse parole che pronunciai alla Camera dei Deputati in occasione della sua commemorazione: “Spirito garibaldino, figlio della città dei Mille, orgogliosamente bersagliere, ha solcato di corsa il Novecento, da volontario diciassettenne a Salò a Ministro per gli italiani nel mondo nella Repubblica italiana all’inizio del nuovo millennio, passando per un impegno parlamentare lungo undici legislature, dedicato soprattutto agli emigrati, quelli che – diceva – amano di più la patria perché sono lontani dalla loro grande madre. Fu una specie di voto il suo, dedicato a suo padre.

Raccontava infatti che, quando nel 1963 decise di andare ad Asmara per cercare la tomba del padre partito nel 1940 per le colonie e morto prigioniero degli inglesi, non conosceva nessuno, ma riuscì a trovare quella tomba sopra la quale c’erano dei fiori freschi: erano i fiori degli emigrati italiani che in quel modo onoravano i connazionali morti.
 Entrato nella Camera nel 1972 impegnò l’allora Movimento Sociale Italiano nella battaglia per il voto degli italiani all’estero che concluse vittoriosamente quasi dopo tre decenni, sotto l’insegna di Alleanza Nazionale.

Assemblea Generale Ctim“Ho perso moltissime battaglie – disse un giorno – ma ho ricominciato ogni volta daccapo, perché ho sempre creduto e bisogna credere, vince sempre chi più crede”. Spesso scherzosamente ripeteva: “Ho cambiato due volte la Costituzione, ho dato il voto agli italiani all’estero, si può ben dire che uno che viene dalla Repubblica Sociale Italiana è stato un grande distributore di democrazia”.

Questo ricordo, oltre che doveroso, per me e per noi ha un significato ulteriore. Oggi molti usano e abusano del nome di Tremaglia e ne rivendicano l’eredità. Io credo che dei grandi uomini si resta orfani più che eredi, ma so anche che c’è chi ha titolo ad usare quel nome e chi non ce l’ha.

Ma parliamo di noi. Potevo e potevamo fare di più e meglio? Certo, chi non fa non sbaglia. Ma posso, con legittimo orgoglio, affermare che ho ed abbiamo garantito che questa organizzazione continuasse a vivere, certo con le difficoltà di questi tempi. “Poveri ma belli” potrei dire, con lo spirito dei volontari, che hanno conservato amici che qui ci sono da sempre, che non hanno fatto come altri che al Ctim hanno voltato le spalle per scegliere le tavole imbandite e percorsi di comodo.

In questi anni ho cercato di ripercorrere le strade del mondo, visitare le nostre comunità ed animare le nostre delegazioni all’estero.

Ricordo con emozione, ad esempio il mio viaggio a Hereford, in Texas, dove con Arcobelli ho potuto presenziare alla riconsacrazione della chiesetta costruita dai prigionieri italiani “non cooperatori” ; o alle altre belle occasioni di comunità ed orgoglio italiano come il Columbus Day a New York o a Dallas (da Grand Marshall), o a Chicago con l’omaggio al Balbo’s Monument.

Penso alle giornate intense vissute in Argentina tra Buenos Aires (lì per contestare l’abbattimento della statua di Colombo), Rosario, Mar del Plata; o in Brasile per la bella e impegnativa campagna per i Comites; o ancora in Uruguay nella splendida scuola italiano di Montevideo che all’ingresso ti saluta con la lupa di Roma.

menia4Ricordo con piacere le giornate vissute in Australia, in diverse occasioni soprattutto tra Melbourne e Sidney, e qui il caldo incontro con la comunità giuliana in particolare. Nè posso dimenticare, ma sono certo più vicino a casa, le belle iniziative svolte in Germania, tra Stoccarda e Norimberga soprattutto, o la presenza a Marcinelle ove il Ctim con i suoi esponenti mai è mancato in quell’8 agosto, “giornata del sacrificio dl lavoro italiano nel mondo”.

E poi le tante presenze e convegni organizzati in paesi europei e nelle regioni italiane, a discutere di emigrazione e immigrazione, ricordando soprattutto l’attualità del pensiero di Tremaglia, come facemmo simbolicamente e in particolare a Roma con il convegno a lui dedicato in concomitanza con l’apertura del nuovo Cgie.

Abbiamo in questi anni, lo ripeto tra mille difficoltà e non sempre con il risultato sperato, comunque ricostruito una rete. Se abbiamo cento e più eletti nei Comites (e li ringrazio tutti), se abbiamo la nostra rappresentanza al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, tutto ciò è segno di una presenza che sta nei fatti e negli atti.

In proposito desidero ringraziare i nostri rappresentanti al Cgie, Arcobelli e Sangalli eletti nei loro paesi, oltre a Ciofi nominato come rappresentante di associazione maggiormente rappresentativa nel mondo dell’emigrazione, per il proficuo lavoro che essi stanno svolgendo nella maggiore assemblea degli italiani nel mondo e li invito a proseguire, nei modi e nelle forme ritenute più utili, il pressing nei confronti della Farnesina per l’intitolazione di una sala della stessa al Ministro Mirko Tremaglia, come già approvato a stragrande maggioranza nella mozione d’indirizzo da loro presentata e discussa al Cgie.

Abbiamo con fatica mantenuta aperta la sede centrale a Roma e ora posso con gioia annunciarvi che prossimamente la trasferiremo in quella che storicamente è stata la nostra casa madre, in via della Scrofa alla fondazione Alleanza Nazionale.

Spero possa essere un segno di buon auspicio verso il 2018 che segna il 50mo della nostra organizzazione e dovremo celebrare con una serie di iniziative in Italia e nel mondo.

Lo faremo all’insegna della “mission” che è sempre stata quella del ctim, la conservazione e la diffusione dell’italianità in ogni angolo del mondo. Il Ctim infatti, e lo afferma nel suo statuto, ha come scopo “il rafforzamento dei legami fra le varie comunità Italiane nel mondo e la Madrepatria, persegue fini patriottici, morali, culturali ed assistenziali rendendosi portavoce delle esigenze dei nostri connazionali, tutelandone gli interessi, prospettando adeguate soluzioni dei loro problemi, promuovendo iniziative parlamentari e di altra natura a tutela dei nostri emigrati e delle loro famiglie in Italia e all’estero”.

La grande battaglia di Tremaglia, per l’affermazione del diritto di voto all’estero, è una conquista da non dare per scontata, ma su cui vigilare perché ciclicamente viene rimessa in discussione. Una volta col “No taxation, no rapresentation”, un’altra con la scarsa trasparenza ed i brogli nel voto, un’altra ancora con la scarsa qualità dei parlamentari eletti.

chicago2Certo l’esempio dato in questi anni dai Pallaro, dai Di Girolamo, dai Razzi e altri, non giova alla causa e non possiamo non ricordare come anche l’idea del padre di quella legge fosse molto diversa da quel che poi si è verificato. Tremaglia immaginava una rappresentanza di uomini che all’estero illustrassero l’Italia, scienziati, ricercatori, capitani d’industria, uomini di pensiero, che sapessero portare in Parlamento il meglio dell’Italianità oltre i confini, uniti a prescindere dalla loro visione ideologica, fuori dai partiti, immaginava addirittura una lista unica e condivisa.


Il risultato è stato molto, molto diverso, ma questo non inficia il grande valore, democratico, civile, nazionale, della rappresentanza e del voto all’estero: piuttosto ci si industri sul come modificare le regole di quel voto, ma nessuno pensi di togliere di mezzo questa conquista che è una conquista dell’Italia intera.

A tale proposito desidero rassegnare a voi e soprattutto a chi siede o siederà in Parlamento ed ha legato il suo impegno al Ctim le parole che scrisse Tremaglia nel “messaggio agli italiani all’estero” del 28 giugno 2010 e che sono l’indicazione di come intendesse cambiare le modalità del voto all’estero: “Manterremo il diritto di voto all’estero, da noi conquistato nel 2001, introducendo il voto segreto, che verrà istituito presso le ambasciate, i consolati e altre sedi di voto, conservando – come fanno altri paesi – l’indispensabile voto per posta”. Credo che, lavorando su questa tesi di fondo, potremmo farci promotori di una piattaforma condivisa di modifiche al sistema di voto che tuteli la segretezza e la personalità del voto di ogni singolo cittadino all’estero.

Parlando del voto all’estero non voglio nascondermi rispetto a una questione che a breve si porrà: il prossimo anno, verosimilmente a primavera, si voterà per il rinnovo del Parlamento italiano. E come accaduto dalla prima volta in cui gli italiani nel mondo hanno votato per i loro 12 deputati e 6 senatori, i nostri rappresentanti Ctim porranno le loro candidature nelle circoscrizioni estero.

Fino a quando, pur nella sua indipendenza, il Comitato Tricolore aveva un suo partito di riferimento, le cose erano abbastanza facili e sostanzialmente i nostri candidati si limitavano ad occupare lo spazio della coalizione di cui era parte Alleanza Nazionale.

Con lo scioglimento di Alleanza Nazionale, lo sfaldamento successivo del Pdl e la diaspora della destra, le scelte e le appartenenze sono diventate plurime. L’indicazione che ritengo di esprimere e sulla quale ritengo di poter trovare una linea concorde con tutti voi è che gli appartenenti al Ctim siano liberi di candidarsi nella lista all’estero che reputano più opportuna, trovando il sostegno dell’organizzazione e dei suoi affiliati, a patto che sia coerente con i valori e le posizioni tradizionalmente espresse dal Ctim stesso. Per essere più chiaro ancora, vuole dire purchè si sia alternativi e diversi dalla sinistra e purchè l’offerta di altrui collaborazioni o collocazioni non significhino campagna acquisti in casa nostra.

Non mi sfugge che questo sia un momento difficile: l’assenza del “partito di riferimento”, cui facevo riferimento, non si traduce solo nella possibile babele delle posizioni e delle candidature al parlamento, ma determina inevitabilmente una minore forza attrattiva rispetto ai potenziali interessati e una evidente difficoltà di carattere economico non potendo più contare su quella fonte finanziaria certa che permetteva una tempo al Ctim di sostenere sedi, campagne, iniziative all’estero e pure in Italia.

Ed allora, “rubando” le parole Bruno Zoratto, indimenticato e ineguagliato animatore del Ctim dei tempi migliori, consentitemi di rassegnarvi alcune “doverose riflessioni” (sono del 2003 e me le ha passate il fratello Mario che ringrazio) le quali valgono oggi come ieri:

“A scanso di equivoci il Ctim è e deve rimanere una libera associazione senza scopo di lucro. Le carenze strutturali dell’organizzazione Ctim nel mondo sono antiche e conosciute e prevalentemente provocate dalla mancanza oggettiva di mezzi sufficienti e adeguati”. Anche se per qualche sprovveduto può sembrare utopistico, nostro dovere è quello di cominciare a ricercare seriamente i mezzi necessari anche nei luoghi di residenza con le iniziative di autofinanziamento più svariate.

Quando uno accetta un incarico è suo dovere cercare di ottemperare compiutamente alle sue funzioni. Quando uno non può adempiere o dissente deve avere il coraggio o l’umiltà di dichiararlo prendendo le dovute conseguenze. Non è tollerabile che qualcuno per anni rimanga in letargo, svegliandosi solo quando (….) Non è accettabile che il Ctim venga scambiato da qualcuno con una banca, con un oggetto personale o con una greppia da usare per soddisfare i propri istinti e le proprie esigenze”.

Ho citato queste parole di Bruno perché servono a mettere l’accento su una serie di condizioni o precondizioni necessarie alla sopravvivenza e allo sviluppo del Ctim. Il problema della banca non c’è più e qualcuno la banca è andata a cercarsela da un’altra parte: quello del letargo è problema antico e a chi lavora da volontario non può essere chiesto più di quanto può dare. Purchè il letargo non sia periodo prevalente su quello del lavoro e dell’impegno.

L’autofinanziamento è condizione indispensabile e dal centro alla periferia (sia essa nazionale o del mondo) dovremo ragionare assieme su quali suggestioni, iniziative, dalle sponsorizzazioni alle azioni con spirito d’impresa, mettere in campo.

Una di queste strade, tradizionalmente, era quella dell’affiancamento del Ctim ad un ufficio di Patronato. E’ notorio quanta influenza riescano ad esercitare i patronati all’estero: non è un mistero che la grande organizzazione della sinistra si regga in gran parte su di essi, che gestiscono le pratiche più importanti di tante famiglie di italiani all’estero, dalle pensioni alle più svariate pratiche. Poi vanno all’incasso alle elezioni.

Ma anche qui, per quanto ci riguarda, le cose sono cambiate, e solo alcune delle nostre sedi si affiancano ad un patronato: ed anche in questo caso ormai le sigle sono delle più disparate. I patronati spesso e in qualche modo suppliscono alla conclamata crisi dell’associazionismo.

L’associazionismo è stato per generazioni simultaneamente una forma di mutuo soccorso e di mantenimento della lingua, della cultura e delle tradizioni italiane. Inevitabilmente il tempo ha mutato il senso e le condizioni dello stesso. Non ci sono più gli “italiani con le scarpe rotte”. Il graduale consolidamento dalla condizione di emigrato a cittadino, la stabilizzazione nel lavoro, la residenza, l’acquisizione della nuova cittadinanza, la crescita nella piramide sociale, l’ascensore sociale delle generazioni successive a quelle di primo insediamento ha inevitabilmente mano a mano assottigliato la necessità del mutuo soccorso e, parallelamente, l’integrazione nella nuova realtà soprattutto delle seconde terze e quarte generazioni ha affievolito lo spirito di appartenenza nazionale italiana.

Invecchiamento delle tradizionali presenze emigrazione storica sono invecchiate anche le associazioni. Non a caso è facilmente riscontrabile che i giovani italiani che hanno cominciato nuovamente ad emigrare in questi anni di crisi, arrivano da soli e in genere non si rapportano con le associazioni e le vecchie generazioni di italiani; spesso neppure con i loro figli di generazioni successive.

Vanno guardate con attenzione, io credo, le nuove e più incisive forme di coinvolgimento e collegamento, soprattutto dei giovani italiani o oriundi italiani all’estero: penso alle belle iniziative di molte Regioni italiane in collaborazione con le organizzazioni regionali dell’emigrazione (calabresi, siciliani, abruzzesi nel mondo e così via sono oggi le associazioni che più di altre riescono a mantenere una loro particolare forma attrattiva essendosi invece assottigliate le adesioni di stampo “ideale o politico”) che organizzano viaggi e percorsi di “riscoperta” delle radici; penso ai progetti delle università o gli stage di studio/formazione/lavoro e similari.

Proprio qui, credo, debba essere fatta una riflessione sul nuovo fenomeno migratorio che interessa soprattutto oggi i giovani dall’Italia. Senza che molti se ne accorgano, è in atto una nuova grande migrazione di italiani, in grandissima parte giovani e qualificati. In 10 anni si è registrato un +55% di italiani che sono andati a risiedere all’estero: in totale sono 4,8 milioni. 107 mila se ne sono andati nel 2015 (+6,2% in un anno): per il 50% giovani, per il 20% anziani.

Le regioni capofila di questa nuova emigrazione sono proprio quelle che erano fino a dieci anni fa le locomotive dell’economia e della modernizzazione italiana: la Lombardia, con 20.088 partenze, è la prima regione in valore assoluto, seguita dal Veneto (10.374).

A differenza dei 5 milioni di italiani che sono emigrati in Germania nel dopoguerra (e che per il 90% sono poi rientrati in patria) chi parte oggi non tornerà in assenza di nuove opportunità. Esiste un mondo giovanile in movimento che il paese non riesce più a intercettare: in Italia il 40% dei giovani è disoccupato.

Esportiamo giovani e laureati, inaridiamo la nostra nazione, non facciamo più figli e di fatto consentiamo che chi se ne va sia sostituito da immigrati che in gran parte non hanno le nostre radici culturali e religiose, generando di fatto situazioni di potenziale conflitto, crisi sociali e a breve di sfarinamento della nostra identità nazionale.

Al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che commenta la nuova emigrazione italiana come «segno di impoverimento» chiediamo: ma l’Italia ufficiale, quella del Palazzo, che fa?

Crediamo per caso di “arricchirla” con la follia dello Jus soli, regalando la cittadinanza italiana a milioni di africani? Va detto e riaffermato che la nostra gente è emigrata in ogni angolo del mondo ed ha conquistato ogni cosa, piccolo e grande, con il lavoro, il sudore della fronte e il rispetto delle leggi: la cittadinanza è un’acquisizione che deriva dal riconoscersi in una cultura e nel condividerne i valori.

Noi dobbiamo contrapporci all’assegnazione automatica della cittadinanza che derivi dal fatto che una persona nasca in Italia. Non possiamo rischiare che l’Italia diventare una sorta di gigantesca Sala Parto per le donne africane. La cittadinanza è una conquista.

E lo possiamo dire proprio noi che abbiamo una storia di emigrazione. Siamo un popolo che ha vissuto grandi migrazioni, dall’Europa alle Americhe, ne raccontano anche la filmografia o la letteratura, a testimoniare la presenza di gente umile, partita con valige di cartone e che ha saputo farsi onore. Quanti poi sono stati i figli e i nipoti che hanno assunto la cittadinanza dei paesi che li hanno ospitato e hanno conquistato incarichi nei governi, nei parlamenti, hanno costruito grandi aziende, inventato o prodotto cose rivoluzionarie, scalato i gradini nelle professioni e nei mestieri, sapendosi integrare nella nuova terra e facendosi portatori di valori e di una cultura millenaria? L’esempio che abbiamo dato di gente umile e volonterosa, che ha saputo farsi strada e integrarsi, ci induce oggi a dire che esigiamo per chi viene nella nostra terra ci sia una percorso di integrazione e condivisione dei nostri valori, che sono valori non negoziabili, come il rispetto della dignità umana, delle libertà civili, politiche e religiose, della parità tra uomo e donna, il rispetto del paese che ti ospita e che ha il diritto di conservare le sue tradizioni.

Noi dobbiamo far sentire alta e forte la nostra voce, che nasce dalla nostra cultura e storia: il Ctim deve avere un ruolo importante in questo dibattito, tanto più di fronte al quadro drammatico della questione demografica in Italia.

Nel 2016 abbiamo stabilito un tragico record all’ingiù, certificato dall’Istat, ovvero il dato più basso di bambini nati dall’unità d’Italia (1861, quando però la popolazione era meno della metà dell’attuale e nel frattempo sono passate due guerre mondiali) ad oggi: 470.000 nuovi nati, oltre 15.000 in meno dell’anno precedente, che deteneva il precedente primato negativo. Le morti, oltre 650.000, portavano l’indice relativo al 10,2 per mille, mentre quello di natalità è sceso attorno all’8 per mille. Le proiezioni ci dicono che nel 2040 gli italiani autoctoni saranno meno del 50% e in un secolo proseguendo così scomparirà la nazione italiana.

Perché non pensiamo allora – e qui penso a quell’Italianità di ritorno di cui sempre parlava Tremaglia, a politiche che inducano piuttosto i tanti italiani all’estero e i tanti oriundi e discendenti a ritornare in Italia?

Fuori dai nostri confini c’è un tesoro enorme: 60 milioni di italiani oriundi, che conservano il nome e spesso la lingua in ogni angolo del mondo; quasi 5 milioni di cittadini italiani e il nuovo grande fenomeno cui ho testè accennato della nuova emigrazione italiana, spesso di cervelli, di ricercatori e laureati, di giovani; più di 400 organi di stampa e tv, 100 istituti di cultura, 500 comitati della Dante, migliaia di esercizi commerciali, ristoranti, il made in Italy diffuso.

Quest’altra Italia non è soltanto quella dei vecchi ricordi, delle foto ingiallite che gli emigranti hanno portato con loro, delle tante via Dante sparse nei quattro continenti fuori dall’Europa. E’ quell’Italia che vive anche in America, in Canada, in Australia, quell’Italia delle tante nuove Venezia, quella che ci onora all’estero e che fa sì che ci siano tanti ambasciatori dell’Italia all’estero.

La nazione è questo, la nazione è spirito, è unità di destino, è ciò che siamo stati ieri, ciò che siamo oggi, ciò che saremo domani, rappresenta le generazioni che verranno, va oltre il tempo e oltre lo spazio. E’ l’Italia delle nuove classi dirigenti, è l’Italia che ci onora fuori da questi confini e che abbiamo il diritto e il dovere di rendere più vicina a noi. Ecco l’Italianità di ritorno, come fatto fisico per alcuni, economico, per altri, culturale e spirituale per altri ancora.

Su queste basi, credo, il nostro orizzonte, come Ctim, deve essere teso soprattutto alla conservazione, salvaguardia, riconquista e valorizzazione dell’italianità come aspetto culturale e spirituale.

Così abbiamo cercato di costruire ed impostare il nostro giornale, “Prima di tutto italiani” (forse non lo sapete mà è la frase del testamento spirituale di Nazario Sauro al figlio) che mensilmente con impegno e tenacia costruiamo – e qui il ringraziamento va al direttore Francesco De Palo – e circola nelle ambasciate, nei consolati, nelle camere di commercio all’estero oltre che tra i nostri lettori e simpatizzanti, a seconda anche della diffusione che localmente hanno saputo costruire i nostro responsabili.

E’ questa una voce autorevole che sviluppa opinione e cultura, che offre uno spazio diverso da quello del portale del Ctim (il tradizionale sito http://www.comitatotricolore.org) e si dedica ad approfondire tematiche e problematiche nei diversi ambiti: l’ambito economico, con una panoramica delle iniziative presenti nei vari territori individuando per ognuna di esse il fil rouge dell’italianità; che sia di sostegno a quanti intendono scambiarsi competenze e professionalità;

l’ambito sociale, per mettere in rete il senso di appartenenza degli italiani lontani dalla propria terra e che per questo sono pervasi da nuova linfa vitale e attiva che utilizzano in svariati campi;

l’ambito promozionale, con la sensibilizzazione del made in Italy diffondendo le buone pratiche dei successi ottenuti dagli italiani nel mondo; l’ambito culturale, con le iniziative che attengono al mondo della cultura italiana declinate nelle singole realtà continentali e innalzandole a esempio alto e positivo dell’italianità nel mondo; l’ambito geopolitico, con particolare attenzione alle missioni dei militari italiani impegnati in tutto il mondo e delle aziende che “esportano” avanguardia nei cinque continenti.

Proprio sul nostro giornale abbiamo lanciato da tempo una grande battaglia, che è assieme culturale, identitaria e storica, quella relativa alla difesa dei monumenti e dei simboli italiani all’estero, fatto divenuto di grande attualità proprio in queste settimane, nella ricorrenza del 12 ottobre, scoperta dell’America (per tutto il mondo occidentale “Columbus day”) giorno celebrativo che viene messo in discussione proprio negli Stati Uniti per essere sostituito con una festa dei popoli indigeni e dei nativi.

In realtà è questa una manovra ideologica che viene da lontano, è figlia della stessa cultura della sinistra internazionale che gode nello sputarsi addosso, nell’annichilire lo spirito nazionale, religioso o spirituale, nel umiliare la propria identità a favore di quella dei presunti diversi o diseredati, siano essi i popoli indigeni, i migranti clandestini, i propugnatori del cosiddetto matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Così a Buenos Aires si abbatte lo storico Monumento a Cristoforo Colombo, un colosso di 35 metri dono di inizio ‘900 della comunità italiana alla Capitale (un argentino su due è di origine italiana) e orgoglio della nostra gente. Nessuno protesta, né la nostra ambasciata né il deputato argentino eletto all’estero nel Parlamento italiano.

“Monumento deriva dal latino “monére”, ammonire, ricordare. Se tu distruggi un monumento, vuoi privare altri del ricordo e al tempo stesso ne oltraggi la memoria. E se quella memoria è la tua, oltraggi te stesso” scrivevo due anni or sono sul nostro giornale: in queste settimane negli Stati Uniti (e già da qualche anno) si ripete la stessa cosa. Monumenti abbattuti come a Baltimora, Columbus Day aboliti a Seattle, Denver, Los Angeles, Austin. Magnifico a questo proposito – e va ringraziato da tutti – l’impegno di Vincenzo Arcobelli di denuncia e difesa dei simboli della nostra tradizione, non ultimo quello a favore del Balbo’s Monument di Chicago, anch’esso nell’occhio del ciclone: eppure si tratta di una colonna romana di duemila anni fa che celebra una grande impresa italiana, la trasvolata oceanica, non il fascismo.

Il punto vero è questo. L’America che oggi conosciamo, la sua fisionomia, le sue conquiste, le sue libertà, le sue costituzioni, le sue realizzazioni, le sue città, le sue leggi, sono figlie della civiltà europea che oggi è più vastamente quella che comunemente chiamiamo civiltà occidentale ed in cui ci riconosciamo. Sputare su ciò che simbolicamente la rappresenta, e quindi sulle proprie radici e sulla propria memoria, è sputare su sé stessi.

Connessa, anche se diversa, è un’altra questione che intendo denunciare. Consci del nulla prodotto in questi anni, i deputati eletti all’estero della sinistra hanno presentato una proposta di legge a prima firma La Marca per istituire la “Giornata nazionale degli italiani nel mondo”: a parte il sospetto che serva a mettere da parte l’8 agosto (istituito dal Ministro Tremaglia come “Giornata del sacrificio italiano nel mondo”), la cosa più indecente è che nella sua stesura originale prevedeva si celebrasse il 12 ottobre: ora, a seguito del movimento “revisionista” di cui poco fa ho parlato, la legge cambia data – secondo le parole dell’on. Fedi “attese le difformi sensibilità sulla figura di Cristoforo Colombo” – inventando un insignificante 31 gennaio, che fa riferimento al primo provvedimento in tema di emigrazione approvato in Italia nel 1901. Una presa in giro, una vergogna.

Credo di avere sviluppato abbastanza compiutamente un discorso che ha investito tanto il recente passato quanto il presente del Ctim.

In conclusione e in breve vorrei proporvi un decalogo per il futuro, sul quale chiedo la vostra fiducia e il vostro impegno ponendo la mia candidatura al rinnovo della carica di Segretario Generale, assieme ad un nuovo Presidente, che propongo nella persona di ed alla proposta di acclamare la nostra colonna Giacomo Canepa a Presidente Onorario.

Difendere l’indipendenza politica del Ctim e puntare sulla sua storica vocazione alla tutela, valorizzazione e trasmissione dell’italianità;

Difendere la rappresentanza degli italiani all’estero, in primis la legge Tremaglia sul voto all’estero, con l’impegno per la sua modifica in senso migliorativo, e contemporaneo impegno per riforma del Cgie e dei Comites;

Difendere i diritti, le conquiste, i servizi, degli italiani all’estero, con particolare riferimento al potenziamento dei servizi consolari, l’assistenza sanitaria in Italia per i residenti all’estero, la richiesta di cancellazione dell’Imu;

Promuovere l’Italianità di ritorno, tanto in termini economici, quanto culturali, sociali e personali; favorire sinergie con istituzioni economiche, culturali, universitarie;

Impegnarsi per la promozione della lingua e della cultura italiana e la conservazione e la valorizzazione dei simboli e dei monumenti italiani all’estero;

Mantenere e rafforzare il contatto con le comunità italiane, con l’impegno ad esserci e visitarle, incrementare la presenza ed i rapporti con le realtà regionali dell’immigrazione;

Rendere le rappresentanze del Ctim – anche in connessione con altri soggetti, patronati o associazioni – erogatrici di servizi, riferimento per la soluzione di problemi come salute, pensioni, casa, pensioni degli anziani, alle problematiche d’ingresso dei giovani;

Puntare su forze nuove, da affiancare alle tradizionali colonne dell’organizzazione, che sappiano portare mentalità imprenditoriale, spirito innovativo, fund raising, sponsorizzazioni e risorse;

Investire sulla cultura e sulle nuove forme di comunicazione, potenziamento della presenza del Ctim con i nuovi linguaggi, implementazione del mensile “Prima di tutto italiani”;

Last but not least” garantire l’impegno personale dei dirigenti del Ctim su basi di chiarezza, coerenza, lealtà, volontarismo.

Con questi impegni e queste linee d’azione lancio il mio appello rivolto a me stesso e ad ognuno di voi: “Dì cose rivoluzionarie. Non fermarti all’analisi di quanto fatto o alla proiezione di ipotetici percorsi futuri. Lancia suggestioni. Di’ che una nazione che non sa più sognare è una nazione che ha perso la speranza. La Nazione è unità di destino, oltre il tempo ed oltre lo spazio. Di’ che è quella speranza che va restituita all’Italia e ai nostri figli, dentro e fuori dai confini, perché se il nostro orizzonte mentale è forzatamente confinato dalla trama di un presente che non ci soddisfa, il loro ha diritto di essere libero. Perchè non dovranno fermarsi a chiedersi sempre cosa c’è dietro. Devono gioire di opportunità sempre crescenti di pari passo con i loro meriti e ridere in un mondo dove l’ingenuità non è limite e la genuinità è valore e non peccato.

Perché, come scrisse William Shakespeare, “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.

twitter@robertomenia

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