di Claudio Antonelli
L’attentato terroristico di Vienna è un altro dei grani del rosario islamico, il tashib, modello esplosivo da esportazione, che viene periodicamente sgranato contro gli infedeli da uno dei tanti fanatici che teniamo ben al caldo nella nostra Europa. Questa volta è stato un figlio di disperati skopjanì di etnia albanese, originari dell’ex Jugoslavia, a contraccambiare a modo suo la generosa accoglienza ricevuta dai genitori nella civile Austria.
A Nizza è stato invece un disperato tunisino, accolto a braccia aperte a Lampedusa, a sgranare contro di noi il suo rosario di morte. Questo combattente ha coerentemente compiuto la sua missione religiosa, tagliando un paio di gole cristiane e rendendo omaggio allo sgozzamento rituale. L’Europa reagirà porgendo l’altra guancia. Oppure reagirà, vedi la Francia, alla Charlie Chaplin ossia alla Charlie Hebdo.

L’Europa ha dichiarato invece guerra ai populisti i quali osano criticare il multiculturalismo di Stato di tipo comunitario-tribale e il mondialismo di tipo consumistico-finanziario, caro ai sabotatori delle frontiere di Stato. I padroni del discorso, vestali della political correctness, avversano infatti chiunque non condivida l’entusiasmo delle nostre élites benpensanti per l’abbattimento di ogni barriera in un’Europa dai confini incerti. Tanto che la stessa idea di un territorio europeo è stata sostituita da uno spazio: lo spazio Schengen.
Il Belpaese, dopo essere stato considerato l’anello molle, da pasta scotta, della Nato, oggi è il Paese dalle frontiere liquide, all’olio d’oliva anzi all’olio santo, perché a Roma, capitale anche del Vaticano, dall’alto delle robuste mura del suo Stato, papa Francesco continua a lanciare appelli apostolici ai “diversi”, tutti indistintamente migliori di noi, perché affluiscano numerosi nel Belpaese per migliorarlo.
Dopo il crollo del comunismo, utopia internazionalista nei propositi ma realtà sovietica e cinese o, nel caso di noi esuli, titoista antitaliana, il social engineering dei padroni del discorso, vedi il finanziere apolide Soros e la rivista The Economist, propongono un globalismo da supermercato unico. Il risultato di tutto ciò è che più una certa idea dell’Europa prevale con i suoi principi di internazionalismo e con l’adorazione a priori del diverso, concentrato di virtù, e meno europea l’Europa stessa diviene.
Un’assurda disuguaglianza distorce la normale logica: la popolazione maggioritaria, insediata nel suo territorio da secoli, è accusata di razzismo e di xenofobia se cerca timidamente di salvaguardare i propri valori, consuetudini, stili di vita. Si fa invece di tutto per permettere ai nuovi arrivati di conservare le identità di partenza, basate spesso su valori e stili di vita, pubblici e non privati, che sono in aperta opposizione a quelli vigenti nel paese che li ha accolti.
Di uno scontro di civiltà, in realtà, si tratta, e quindi noi dovremmo, anche con la forza se necessario, costringere l’Islam, in Europa, a trasformarsi in Islam moderato rispedendo a casa quegli Imam che tengono discorsi di odio e di morte (a Vienna, anche se con ritardo, le autorità hanno chiuso un paio di moschee).
È significativo che la resistenza al rullo compressore del mondialismo si verifichi nell’ex Europa dell’Est, che ha dovuto combattere contro il rullo compressore comunista annientatore dei passati nazionali. E anche l’Austria, rimasta fino ad oggi sonnacchiosa tra Ungheria e Germania, è stata brutalmente risvegliata.
La coscienza europea non può prescindere dall’esclusione. Esclusione di ciò che appunto non è europeo. Volendo includere tutti i valori, il discorso buonista occidentale si fa, infatti, nichilista. L’Europa Unita ha bisogno di salvaguardare la propria identità; che è emanazione delle identità dei singoli paesi che la compongono.
Questa nuova rivoluzione globalista, non più comunista ma comunitaria e universalista e grazie al Papa anche ecumenica, è basata su un assioma che noi respingiamo: siamo tutti uguali e il pianeta è la nostra patria. Insomma, ancora una volta le nostre élites gridano: “Viva la Rivoluzione!”
Noi italiani, campioni di trasformismo e di opportunismo, e adepti degli odi civili, aderiamo prontamente pro forma ai valori del momento. Questi valori sono oggi basati sull’amore non della propria gente ma del mitico diverso.
La vera opposizione al globalismo e all’internazionalismo ci può venire solo dalla Nazione e dall’amore che noi proviamo per essa. E la Nazione con il suo inno e le sue storiche frontiere dovrà tornare a farci sentire di nuovo, a casa nostra, la sua voce.