Di Francesco Braga
Il Senatore Francesco Lollobrigida è il nuovo Ministro della Agricoltura e della Sovranità alimentare. Alcuni sinistri sono insorti, con argomenti francamente patetici e pretestuosi, nel tentativo di discreditare il nuovo governo o intestandosi l’invenzione del concetto stesso, naturalmente in una sua declinazione sinistra.
Critiche anche per il Ministero della Istruzione e del Merito. In entrambi i casi sono scelte valide, con significato chiaro. La “Sovranità alimentare” e’ una scelta giusta, si tratta di un messaggio forte, dovuto. Speriamo aiuti il nostro settore agroalimentare, uno dei pilastri della nostra economia, una componente essenziale della nostra cultura e tradizioni e una forte attrazione per i turisti stranieri. Non credo in nessun altro paese del mondo il cibo, inteso in senso lato, sia maggiormente importante per cultura e tradizioni.
Finalmente l’Italia s’è desta, e lo ha fatto il nuovo governo. Con giusto orgoglio. Ma cosa significa “Sovranità alimentare”, cosa significa “Merito”? Vi presento la mia prospettiva, da professore universitario e da dottore agronomo, orgogliosamente conservatore, per scelta razionale.
Contesto
Chiarire il significato di nomi dei ministeri penso sia un’ottima idea, perché molto probabilmente ci sono tante definizioni ed accezioni quanti gruppi e associazioni. Quindi facile l’esitazione o addirittura la confusione.
In primo luogo, le scelte non sono certo casuali. Penso per esempio al “Ministero dell’Istruzione e del Merito”; tutti sappiamo cosa significhi “merito” anche se oggi, il giorno del giuramento del Governo un torvo sinistro manipolatore faceva finta – a Controcorrente – di non comprendere la cosa osteggiando il “merito” in modo strumentale cercando di farlo passare come sinonimo di privilegio da scuola privata, mentre secondo lui il Governo avrebbe dovuto affermare con forza un quasi monopolio della scuola pubblica. Poveretto, mi è sembrato confuso e in mala fede.
Come ha spesso detto Giorgia Meloni la verità è un’altra. Noi vogliamo mettere ogni bambino, ogni liceale, ma anche ogni universitario, specializzando, postdoc nelle stesse condizioni di partenza, e poi vinca il migliore, chi lavora più sodo, chi produce risultati migliori – con le borse di studio là dove necessarie e meritate (detto così è la brutta copia della nostra politica, ma se ne comprende il significato). È una scelta eticamente giusta che aumenta la efficienza e la sostenibilità multidimensionale della nostra società.
La “Sovranita’ alimentare”
Dal mio punto di vista è la difesa, in campo agricolo ed alimentare, della nostra identità, della nostra cultura e tradizioni regionali, che nel loro complesso millenario costituiscono una vera ricchezza nazionale, unica, che molti stranieri ci invidiano, basti pensare che la metà degli stranieri che visita l’Italia si dice lo faccia per cercare i nostri cibi e bevande nel territorio di produzione. Dunque città d’arte, musei, grandi montagne, pianure, mare e una ricca ed appagante cultura alimentare diversificata e salubre. Un pacchetto che nessun’altra nazione si sogna di avere. Dunque giusta la affermazione e difesa della Sovranità alimentare.
Al centro c’è la difesa delle condizioni che permettono la produzione dei nostri prodotti tipici e la loro commercializzazione in Italia ed all’estero, questo proteggendo da imitazioni ma anche da misure e politiche pretestuose come il semaforo / nutriscore.
Certo la sostenibilità è un valore essenziale, se associata al buon senso. Non dimentichiamo – anzi facciamolo proprio presente- che la sostenibilità delle nostre filiere del tipico è implicita, ben testimoniata dal fatto che i prodotti tipici sono prodotti allo stesso modo in regioni precise, le stesse da centinaia di anni, con continue oculate scelte manageriali che preservano questa identità. Oggi si parla di distretti industriali, grande innovazione; va bene, non dimentichiamoci che l’agricoltura tipica li ha da secoli.
Lo spopolamento delle campagne e la necessità di un migliore governo del territorio sono due problemi piu’ recenti che vanno affrontati in maniera pronta, razionale ed efficace, cose che spesso purtroppo non abbiamo fatto nelle Regioni, a Roma, in Europa.
Poi, ovviamente e tristemente, ci serve una miglior gestione delle politiche agricole anche queste nelle Regioni, a Roma, in Europa dove vanno difese e promosse le nostre produzioni tipiche e difesi i nostri interessi. Per troppi anni non lo abbiamo fatto ed oggi ne paghiamo il fio. Non dimentichiamo che le nostre esportazioni agroalimentari valgono circa il 10% del totale delle esportazioni nazionali e non esportiamo derrate, i “commodities” fungibili, ma prodotti tipici di qualità, con una loro identità unica.
Poi contrariamente ai dubia sarcastici del prof. Cottarelli riguardo al baccalà alla vicentina, il collega avrebbe potuto chiamare qualcuno a Piacenza ad Agraria, o della Sen. Boldrini sull’ananas, non è certo espressione di desiderio di autarchia (l’idea miope e’ solo dei sinistri: ricordiamoci la mole delle nostre esportazioni e basti questo a zittirli) ma la sobria realizzazione che l’agroalimentare prospera e lavora con catene di approvvigionamento internazionali, checchè ne dicano i gretini miopi che ragionano solo con il km zero, importante ma d’elite e non sufficiente per sfamare 60 milioni di bocche; sono catene che devono essere monitorate, gestite e fatte crescere in modo oculato, il problema del gas docet. Ci sono modi per renderle maggiormente resilienti. Se è difficile visualizzare la necessità della cosa basterebbe parlare a qualcuno degli allevatori della bassa Lombardia – un esempio tra tanti, in tutta Italia – che hanno difficoltà ad approvvigionarsi di mangimi.
Infine – solo per brevità – c’è tutto il discorso della superiorità conclamata – per la salute ma grazie a Dio anche per il palato – della dieta mediterranea che viene messa sotto accusa ed a rischio da brillanti idee come il “semaforo / nutriscore” di cui sono paladini nazioni che non hanno la nostra ricchezza agroalimentare e dunque… combattono come possono.
Non dimentichiamo poi che agribusiness richiede molto capitale e tecnologie moderne; va quindi assicurato l’accesso a finanziamenti e all’ aggiornamento professionale dell’agricoltore che – non dimentichiamolo – è un imprenditore, spesso piccolo, che crea valore aggiunto, dunque produce ricchezza per la collettività. Sono cose serie.
Conclusione
Sovranità alimentare significa decidere noi a casa nostra cosa fare e come farlo, certo in piena collaborazione con i nostri partner commerciali Europei e non, promuovendo il vantaggio che ci danno i nostri prodotti tipici e assicurando cibo abbondante a prezzi moderati a tutti gli Italiani, rispettando l’ambiente e liberando i nostri imprenditori agricoli – che nella stragrande maggioranza sono persone perbene che lavorano molto sodo e fanno spesso lavori ingrati – da pastoie burocratiche e da regolamenti a volte assurdi, con piena coscienza del fatto che per fare gli imprenditori agricoli, per fare agribusiness, serve accesso a molto denaro, a molta tecnologia e a opportunità di aggiornamento professionale.
Politiche razionali, non mancette inefficienti come il RdC
Il settore va rispettato e messo in condizioni di competere e prosperare, così come facciamo per ogni altra industria. Se vogliamo metterlo in soldoni, in modo un poco rozzo, ricordiamoci che l’agroalimentare esporta prodotti di qualità per oltre 50 miliardi all’anno, circa un decimo del totale delle esportazioni nazionali. Questo con una grande differenza: è un processo naturale, molto diverso da un’officina meccanica o da un lavoro da remoto. Ci vogliono soldi, energia, ma soprattutto ci vuole la dedizione e la sapienza dei nostri agricoltori e la ricchezza e l’equilibrio ecologico delle nostre campagne e delle nostre foreste. Una volta perso, questo equilibrio e’ difficile da ricreare, indipendentemente dalla somma di denaro di cui si possa disporre. Per questo ci vuole una maggiore attenzione e sensibilità. Per questo la validità’ della scelta di affermare, nel nome del ministero, il valore della “Sovranità alimentare”; se non ci pensiamo noi, ora, saremo molto più poveri in futuro.