Secondo la classifica mondiale dei musei il Louvre è il più visitato del pianeta, ma spicca il fatto che l’Italia sia fuori dalla top 20 mondiale, con sul podio Usa e Pechino. Ci “salvano” i Vaticani. Significa che, al netto di appartenenze e di beghe politiche, chi comanda la cultura italiana non ha centrato l’obiettivo e non ha ancora compreso come non solo si potrebbe “mangiare” con la cultura, ma creare una filiera che incida profondamente alla voce pil. Il nostro petrolio si trova alla voce cultura/turismo.
La lezione (il didagma) è che occorre guardare alla cultura italiana come a una risorsa industriale, formando manager e non burocrati della cultura da impantare nei ministeri e far fruttare l’immenso patrimonio italiano, per far tornare l’Italia al primo posto delle mete turistiche mondiali. Ma occorre una strategia lungimirante, al fine di immaginare il turismo culturale come una gigantesca molla su cui edificare il tessuto occupazionale che oggi non trova sbocchi nel Paese.
In questo modo si otterrebbe un doppio investimento: da un lato una mossa che arricchisce in quanto cultura allo stato puro, dall’altro una branca che produce utili, dal momento che l’Italia è in cima al gradimento di tutti. Per mettere assieme esigenze e peculiarità tocca alla politica staccarsi da logiche vecchie e improduttive e farsi moderna. Oggi più che mai.
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