Ma come, 12 mesi fa abbiamo celebrato il vino italiano che ha superato quello francese per bottiglie vendute con la freccia messa sulla corsia di sorpasso anche sullo Champagne poi la nostra classe dirigente si dà la zappa sui piedi con la proposta di importare mosto dall’est europeo?
Chiariamoci: non è questa la sede per alzare barriere protezionistiche, vetuste e anacronistiche, ma è da stolti così come fatto sull’olio non lavorare, invece, per una valorizzazione completa e totale del mosto italiano e quindi del nostro prodotto finito. In Italia sembra quasi che sia peccato mortale tifare per le nostre produzioni e i nostri produttori. Questo non significa che non si debba apprezzare l’altro e gli altri.
Ma continuare con questa direttrice altamente poco qualificante per i nostri marchi finirà per farci perdere l’unica fonte di vera sopravvivenza, assieme al turismo. Non è più sufficiente avere il prodotto numero uno al mondo per gusto e per proprietà organolettiche (ricordiamo che l’olio pugliese è al primo posto nel mondo per doti polifenoliche).
A questo punto serve formare la classe dirigente che deve poi legiferare in quei settori che, invece, andrebbero coccolati, sostenuti, promossi e stimolati a fare meglio. Non affossati da boutade, come il mosto balcanico o l’olio tunisino.
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