di Paolo Falliro
E io te se magno. Alberto Sordi, un gigante prismatico assoluto ha, tra mille meriti, quello di aver accostato il suo faccione unico ad un’altra unicità assoluta dello Stivale: la pastasciutta. Da queste colonne abbiamo un vizio: non smetteremo di ribadire il ritornello (per alcuni tedioso, non per tutti per fortuna) dei prodotti italiani come unica via per uscire dal pantano della crisi, economica e culturale.
Che c’entra la cultura? C’entra, c’entra. Perché questo pezzo del Mediterraneo da dove tutto è nato, ha nella sua terra quel seme che si chiama grano, che non è solo il padre spirituale da cui nascono i meravigliosi frutti di pane, pasta, pizza e taralli di cui il mondo intero va pazzo. Ma è anche (o soprattutto) il luogo dove anni fa si sono sviluppate diverse specie di sementi e farine che oggi tornano di grande attualità: non fosse altro perché molti sono i giovani che appendono nell’armadio lauree in giurisprudenza ed economia per abbracciare l’avventura della terra.
Gea, antichissima madre della terra che generò il mondo, e Demetra sorella di Zeus e dedita all’agricoltura. Una su tutte, il “grano di Timilia” o “grano di Tumminia” che è una varietà antica di grano duro siciliano a cariosside scura, già in uso nel periodo greco col nome di “Trimenaios” e coltivato in Sicilia nel primo cinquantennio del secolo scorso. Insomma un immenso patrimonio geo-culturale che qui nella Magna Grecia è di casa e che merita rispetto, attenzione e tanta dedizione, non generiche promesse e accordi sottobanco con questo o quel soggetto.
Ventisei chili pro capite di pasta all’anno. Sono i nuovi numeri dei consumi italiani di pastasciutta, segno che dalla dieta mediterranea è bene non discostarsi, per mille ragioni. Ma la pasta non è solo il principe degli alimenti nel mondo, che tutti i continenti ci invidiano: è anche un pezzo fondamentale della cultura mediterranea, il frutto di quel grano presente in loco da millenni e che non potrà essere sostituito da altro, con tutto il rispetto per chi sgranocchia insetti o panini vegani.
Oggi un’indagine effettuata dalla Doxa rivela che 1 italiano su 2 sceglie quella integrale “per il suo gusto e perché fa bene alla salute”, per questo accusa tassi di crescita vicini al 20%.
Perché la cultura è così importante? Perché proprio quando le bussole non funzionano come dovrebbero e tutti vanno di corsa incontro ad una globalizzazione che non mostra ancora il suo vero volto, studiare (sì, studiare a fondo e senza Bignami o centri di recupero) la protogenìa della cultura italiana legata al grano è fondamentale.
Una ricerca condotta due anni fa su un campione di 500mila persone negli Stati Uniti ha dato un responso biblico. A 250mila persone sane per un mese è stata sottoposta una dieta a base di proteine e grassi: hanno tutti peggiorato le proprie prestazioni, sia fisiche che mentali. Agli altri 250mila, tra pazienti ipertesi, moderatamente malati e con alti tassi di colesterolo e trigliceridi è stata sottoposta una dieta basata su pasta, pane e legumi: questi ultimi hanno tutti migliorato il proprio status iniziale.
Quando l’Italia capirà che la pasta, quella buona con grano italiano super controllato, è il passepartout per la salute psicofisica allora forse si spalancheranno anche quelle porte che conducono ad un diverso impiego dei talenti ricevuti al momento della nascita. Fino ad allora dovremo accontentarci della imminente vacanza che Donald Trump ha deciso di trascorrere in Puglia, per gustare, indovinate un po’, taralli, pane di Altamura Dop e orecchiette di grano arso.
@PrimadiTuttoIta