Al di là del merito programmatico tutto ancora da decifrare, c’è un elemento che preoccupa, più di tutti, nel nuovo governo nato dopo questa pazza crisi agostana: la facilità con cui il trasformismo ha preso il posto della dottrina politica.
Una direzione di marcia fatta di cambi di passo calcolati, alleanze osteggiate e un attimo dopo foraggiate, insulti beceri trasformati in carezze. Come se nulla fosse, in spregio a quel minimo di dignità che occorre (non solo alla politica).
Una rappresentazione teatrale che sa di grottesco e che si scontrerà gioco forza con le urne, siano esse regionali (Umbria ed Emilia Romagna) o nazionali (da febbraio in poi tutti gli scenari sono aperti). Ma anche la spia di un’assenza strategica (e tragica): manca la visione politica, manca la differenza tra destra e sinistra, tra centro e liberalismo, tra conservatori e riformisti semplicemente perché chi ha avallato quel cambio di alleati ha pensato al proprio tornaconto poltronesco e non alla coerenza di valori e principi non negoziabili.
Si prenda il tema dell’immigrazione: il M5s è passato in un batter di ciglia da condividere con la Lega il decreto sicurezza e la chiusura dei porti, all’accoglienza indiscriminata predicata dal Presidente della Camera Roberto Fico.
O l’economia: i grillini ieri hanno detto sì alla flat tax leghista, mentre oggi scivolano verso il governo più mangia professioni che si ricordi, visto l’elenco infinito di nuovi balzelli che sono in arrivo da parte del Mef.
Ma non è tutto, anche sugli italiani all’estero va fatta una riflessione, pacata ma chirurgica. Non può passare inosservato il fatto che il Maie che si fregia esprimere il Sottosegretario agli Esteri, sia passato dall’appoggio al governo giallo-verde a quello giallo-rosso composto da M5s, Pd e Leu. Come se l’indicazione di voto di migliaia di nostri connazionali che hanno votato Merlo perché in alternativa alla sinistra non contasse più nulla.
E’questa la gramigna della politica 2.0 che va estirpata, perché ne va della sopravvivenza stessa della politica. Non si può imbrogliare in questo modo l’elettorato, chiedendo il voto a destra e poi maturandolo in seno al Governo con una maggioranza agli antipodi. Non si può negoziare un valore che non è negoziabile, come la propria collocazione politica. E non serve certo il vincolo di mandato per mostrare chi si è e cosa si pensa.
L’auspicio è che le prossime elezioni dei Comites siano all’insegna di una ritrovata proposta per gli italiani all’estero: unitaria, coerente, basata sul principio della non negoziabilità di idee e posizioni. Ecco l’unica via che la destra per tornare al Governo e per “rimborsare” i truffati dal trasformismo.