Non cerchiamo un colpevole ma riformiamo Stati e investimenti

di Paolo Falliro

La finanza mondiale e l’esigenza di ricostruire un modello dopo l’emergenza. La pandemia del Covid19 mette fine alla globalizzazione, così come la si è declinata fino ad oggi?

C’è il rischio che la cosiddetta fase 3 sia solo un esercizio ginnico per raccogliere le macerie che in tutti gli stati, ma particolarmente in quelli zavorrati da un debito già pesante, cadranno copiose?

Interrogativi legittimi che (non solo) le cancellerie dovranno porsi, ma anche i grandi centri di potere, le banche, i corpi intermedi, gli intellettuali nella consapevolezza che i grandi cambiamenti si possono subire o governare.

Il virus si è abbattito sui rapporti sociali. Molteplici le professioni e i settori in fortissima sofferenza, che si moltiplicheranno col passare dei mesi. Quale medicina prescrivere all’economia mondiale? Che ruolo svolgeranno i maggiori players, come la Russia (che ha chiuso all’esportazione di cereali), gli Usa (investiti dalla crisi del trasporto aereo e dei soggetti petroliferi), la Cina (che prosegue la sua avanzata nei Balcani)? E la risposta fin qui osservata da parte di Usa e Ue può essere sufficiente ad andare oltre la mera emergenza?

La crisi è totale e ben più grave di quel che si dice. Lo hanno detto all’unisono in un’intervista al Corriere della Sera l’imprenditore e banchiere Matthieu Pigasse e l’ex numero uno del Fmi, Dominique Strauss-Kahn. Il primo, tra le altre cose editore di Le Monde, e il secondo assolto dallo scandalo Sofitel che gli costò la corsa all’Eliseo, concordano su un punto: l’intesa raggiunta tra Merkel e Macron da sola non sarà sufficiente per affrontare un cambiamento epocale che investe i cardini del neoliberismo, della globalizzazione e dei rapporti tra Stato, privati e cittadini.

Tra le tesi maggiormente diffuse in questo dibattito affiorano quelle legate alla presenza dello Stato. Ma con quali premesse e quali modalità attuative? Federico Caffè, Professore di Economia alla Sapienza di Roma oltre che incaricato presso il Governo e la Banca d’Italia, è una figura ricordata come sostenitrice dello Stato al quale attribuiva il ruolo di strumento indispensabile per la coesione e la crescita sociale.

Non amico del neoliberismo sempre più sfrenato che stava già dagli inizi degli anni ’80 fagocitando il sistema economico dei paesi, Caffè riteneva che il “mercato” era una invenzione come osservava nei suoi Scritti Quotidiani: “Ma, in verità, senza affrontare livelli più approfonditi di indagine, il semplice buon senso dovrebbe far comprendere che, in un mondo e in una economia di oligopoli, la borsa non può che esserne il riflesso. Cercarvi, quindi, un vigore e una funzionalità di tipo concorrenziale costituisce una contraddizione in termini”. Era inoltre scettico nei confronti di organismi internazionali come il Fondo Monetario e la Commissione Europea, sostenendo invece che la politica economica doveva controllare i mercati per evitare che le risorse finanziarie venissero destinate più ad attività speculative.

Un passaggio sovente ribadito da Caffè era che che già agli inizi degli anni ’80 si finanziava non per produrre ma per speculare: da quel momento sono trascorsi quattro decenni e la crisi del 2008 produce ancora frutti amari specialmente in contesti in cui il debito pubblico è elevatissimo e la capacità di rimodulazione di sostanze (e posti di lavoro) si abbassa.

Tra gli allievi di Caffè anche l’ex numero uno della Bce, Mario Draghi che, in occasione del centenario dalla nascita di Caffè nel novembre 2014 disse: “Cosa fare per porre rimedio alle disuguaglianze ma anche alle inefficienze: questa era la politica economica di Federico Caffè, questa è oggi la Politica Economica nella sua definizione più alta. È con questa eredità di pensiero che ci confrontiamo ed è con essa che oggi desidero condividere con voi l’azione che la Bce ha intrapreso per rispondere alla crisi nella quale l’area dell’euro e specialmente l’Italia versano, da ormai molti anni”.

Parole che potrebbero essere utili al nuovo dibattito sulla crisi finanziaria 2020 post Covid, di cui ancora non si scorgono chiari i contorni ma di cui sono chiari gli obiettivi: inutile riercare ideologicamente un colpevole, anche perché non vi è tempo a sufficienza. Più strumentale riformare Stati e investimenti per ottenere un dividendo per una platea più ampia di soggetti.

twitter@PrimadiTuttoIta

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