Mentre scrivo questo editoriale si ricordano le vittime del terremoto del Centro Italia. Quattro anni fa risuonarono promesse e retorica: oggi l’auspicio è che la ricostruzione venga fatta fino in fondo, così da permettere a cittadini, imprese e famiglie di tornare alla vita di prima. Utopia?
Guardando l’atteggiamento del premier in visita “pastorale” nelle zone del terremoto mi scorre un brivido: Conte rispondendo alle ansie di una cittadina ancora alle prese con i disservizi post sisma le promette che ne riparleranno, magari a casa sua.
Ecco, in quell’icona c’è tutto il sunto di questo governo: un continuo rimandare decisioni e strategie, scelte e direttrici di marcia che invece andrebbero accelerate. Certo, prima bisognerebbe discutere di mosse e contromosse: è questo un altro vulnus atavico della coalizione giallorossa, con un paradosso abbastanza macroscopico.
Il Pd e la sinistra, che provengono da una lunga tradizione di assemblee, discussioni e mozioni, questa volta non si parlano più. Prendono freddamente atto della deriva grillina su ogni cosa, mostrando oltre che errori di merito anche una assuefazione all’ideologia anti sistema (solo in apparenza) dei miracolati da Casaleggio. In apparenza perché poi grattando la patina di ipocrisia grillina viene fuori la marcia indietro sul limite dei due mandati e la voglia spasmodica di non mollare la poltrona.
L’esempio della scuola è illuminante: a cosa sono servite le task forces e gli esperti se a sole due settimane dall’inizio dell’anno scolastico non si sa ancora quanti banchi a norma avremo, se si riuscirà a mantenere il distanziamento? E soprattutto che tipo di responsabilità ci sarà per i presidi, visto che gli stessi sindacati (non certo di destra) hanno più volte pungolato l’evanescente ministra Azzollina sul ruolo dei dirigenti scolastici?
Un caos, che si somma alla tragedia sociale che il Covid sta arrecando anche al nostro paese: a Firenze un ristoratore, braccato dai conti, si è suicidato. Eccolo il dramma post emergenza sanitaria, che una politica miope, approssimativa e deficitaria non ha saputo cogliere: a cosa servono bonus a pioggia erogati senza un disegno, quando invece all’Italia occorre una nuova narrazione?
Ma le contraddizioni della maggioranza non si fermano qui: la più evidente riguarda il cuore di un’alleanza che ha reso poco credibili anche i rappresentanti di un partito che, per definizione, asserisce di essere democratico e di respiro nazionale. Non lo dice il sottoscritto, ma lo ha certificato sul Foglio qualche giorno fa uno degli ideologi più ascoltati dal segretario del Pd: Goffredo Bettini, principale sponsor di questo governo atipico e fino ad oggi fallimentare, ne ha decretato l’aborto.
La somma Pd più M5s non ha dato frutti, ha osservato. Una presa di coscienza gravissima che non potrebbe rimanere senza conseguenze politiche. Lo stesso fulcro oggettivo alla base dell’alleanza che regge le sorti dell’Italia è venuto meno, per colpa di entrambi gli schieramenti che non sono stati capaci di fare sintesi. La diagnosi di Bettini è spietata e definitiva, talmente in là da non ammettere ricuciture o alchimie strampalate.
Hanno multato i commercianti in questi mesi, hanno inseguito gli italiani con i droni, si sono preoccupati di bastonare i liberi professionisti alle prese con una crisi esistenziale, hanno spalancato le frontiere a migranti “industriali”, consapevoli che l’Italia è diventato il refugium peccatorum. Altro che accoglienza e integrazione: il governo ha favorito solo una invasione senza controllo, come dimostra il fatto che una nave fuorilegge come quella comandata dalla Rackete non sarebbe mai stata fatta attraccare in un porto tedesco o olandese. E sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Non solo migranti: alle porte dell’Italia bussano anche i cinesi, senza gommone ma in giacca e cravatta, magari per spingere il 5G di Huawei. Ecco un altro versante caldissimo della politica italiana, i cui destini si stanno mescolando ad una congiuntura internazionale in cui la guida della Farnesina continua a sbandare gravemente.
Prima si è data al disperato inseguimento di Erdogan per raccogliere qualche briciola in Libia, dove invece la nostra presenza con Eni avrebbe meritato ben altra strategia; poi non ha rispettato la postura euroatlantica italiana per continuare a flirtare con Pechino su una questione di interesse nazionale come il 5G. E’importante focalizzare l’attenzione sul fatto che occorre come non mai uno Stato forte in un’infrastruttura così sensibile come le telecomunicazioni, al fine di avere una garanzia dell’interesse nazionale. In comparti delicati come questo il ruolo dello Stato non è da demonizzare.
La Cina è un partner come tanti altri, non un alleato strategico: lo strabismo del M5s ha contagiato anche l’Italia in questo senso, con una serie di danni collaterali che si riflettono al di là dell’oceano.
L’incontro del ministro degli Esteri Luigi Di Maio con l’omologo Wang Yi dimostra che le relazioni diplomatiche con la Cina stanno andando avanti nonostante i rischi per il nostro interesse nazionale. Ce ne sarebbe abbastanza per interrogarsi su quali siano i reali e tragici frutti di questa guida, tra Palazzo Chigi e Farnesina.
E’questo dunque il momento per offrire all’Italia una controproposta: la destra è pronta a prendersi la responsabilità della guida politica e amministrativa del paese, consapevole che se da un lato l’Italia non si arrende, dall’altro ha maledettamente bisogno di misure rapide e risolutive, che intervengano dove necessario ma all’interno di una regia lungimirante.
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