di Roberto Menia
E’ passato più di un anno dall’inizio dall’inizio dell’”emergenza Covid” ed il panorama è sconfortante. Scienziati o presunti tali, narcisisti e innamorati delle comparsate in Tv, se le suonano e cantano dicendo tutto e il contrario di tutto. Ricette e previsioni sconclusionate, guerra tra gli aperturisti contro i claustrofili, governi che annaspano varando misure confliggenti.
La grande campagna vaccinale che avrebbe dovuto sconfiggere il morbo dimostra più di qualche falla: non solo va a rilento, mentre i “big pharma” ricattano i governi ed intanto incassano, ma arrivano anche le “varianti” del virus e tutto si complica. Sinceramente non se ne può più delle restrizioni alle nostre libertà, della roulette dei colori regionali, del disastro economico indotto non solo dal virus ma anche dalle scelte irragionevoli e sbagliate del governo sul tema: ci si spieghi per esempio come si giustifichi una norma da periodo bellico quale il coprifuoco notturno (manca solo che ci chiedano l’oscuramento) e ci si dica anche come si possa conciliare con i diritti costituzionali il cosiddetto “passaporto vaccinale”.

Ciò premesso, è pur vero che la pandemia esiste, ha colpito duramente e, anche se rimane il dubbio sul reale conto dei morti da covid (un malato oncologico contagiato è morto di covid o di tumore?), ha prodotto e continua a produrre conseguenze gravissime sui piani molteplici, non solo in termini di perdita di vite umane, ma anche nei rapporti sociali, nell’istruzione, negli aspetti psicologici di una depressione collettiva, nell’insicurezza sul lavoro e sul futuro, nel disastro di svariati settori economico- produttivi, dai trasporti e al turismo, dalla ristorazione allo sport.
In tutto questo scenario, c’è un dato, colpevolmente sottovaluto e di fatto ignorato dalla inconcludente ed imbelle attuale classe di governo italiana: stiamo parlando della crisi demografica, acuita ora dal covid, che descrive un’Italia incamminata a passo di corsa verso la sua estinzione.
E’ uscito recentemente lo studio di un team dell’Università di Washington, secondo cui questo secolo sarà contrassegnato dalla drastica riduzione della popolazione mondiale umana. Dopo un’impennata fino a 9,7 miliardi di individui nel 2064 (ora siamo 7,8 miliardi), si prevede che il numero di esseri umani si ridurrà a 8,8 miliardi. L’ultima volta che fu registrata una decrescita demografica globale è accaduto durante il XIV secolo, nel Medioevo, a causa della diffusione della “peste nera” che, si stima, uccise decine di milioni di persone.
Lo studio si è avvalso di un modello matematico che ha tenuto conto delle proiezioni sulla fertilità, mortalità e migrazioni, non considerando fattori diversi che possono influenzarlo (come la pandemia da covid, guerre e carestie); secondo lo stesso il tasso di fertilità totale globale diminuirà costantemente, da 2,37 nel 2017 a 1,66 nel 2100, ben al di sotto del tasso minimo (2,1 nati vivi per donna) che garantisce il mantenimento del numero della popolazione.
Questo è il quadro globale, ma vi sono enormi differenze tra le diverse aree geografiche. Mentre tra Africa settentrionale e sub sahariana e Medio Oriente l’attuale miliardo di persone triplicherà nel corso del secolo, diversi paesi tra i quali Spagna, Italia, Portogallo, Giappone, Thailandia e Corea del Sud subiranno un crollo della popolazione superiore al 50%.
Già, l’Italia. Nel 2019 siamo scesi sotto i 60 milioni; l’8 per cento della popolazione è già ora di immigrati. Siamo il paese che ha il tasso di natalità (Total Fertility Rate, TFR ) più basso in Europa (1,27 secondo il dato Istat del dicembre 2020, 1,18 guardando solo alla donna di cittadinanza italiana) e ciò determina che ogni anno registriamo il record negativo dei nuovi nati: nel 2020 le nascite sono state 404.104 (il valore più basso dalla data dell’Unità d’Italia); l’invecchiamento della popolazione ed il connesso peggioramento relativo delle condizioni economiche e di vita hanno causato un aumento della mortalità con conseguente allargamento della forbice (in senso negativo) del saldo naturale tra nascite e morti (oltre -300.000, come se fosse scomparsa Bari, o Catania).
Nell’anno della pandemia da Covid, al 31 dicembre, l’Italia aveva registrato ufficialmente 74.159 decessi attribuiti allo stesso, un decimo dei 746.146 italiani deceduti in questo sfortunato “anno bisesto”. Eppure è difficile non notare come, rispetto ai 647.000 del 2019, ci sia uno scarto di 100.000 morti in più: continueremo a chiederci quanto tutto ciò sia stato determinato dalla pandemia e quanto dalla risposta non all’altezza di un sistema sanitario azzoppato negli anni con economie da ragionieri e tagli ai bilanci, ai posti letto, alla medicina di prossimità.
Il Covid l’ha reso il quadro ancor più grave ed urgente, ma è ora improcrastinabile una presa di coscienza delle classi dirigenti sul rischio di estinzione dell’Italia stessa. L’età media degli italiani è di 45,5 anni ; gli anziani (over 65) sono il 23,2 % della popolazione e solo il 13% è sotto i 14 anni di età.
E’ insomma un’Italia sempre più vecchia e, come tale, scommette sempre meno sul futuro. Negli anni del boom economico le generazioni più giovani vedevano la prospettiva di quella sorta di ascensore sociale che consentiva loro di star meglio di chi li aveva preceduti; oggi quell’ascensore non solo si è fermato, ma anzi ha innestato la discesa.
I giovani vivono in quest’atmosfera di sfiducia, non fanno figli e magari se ne vanno. Forse qualcuno non se n’è accorto, ma il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo da ormai 15 anni e ha prodotto una perdita netta di mezzo milione di residenti, la metà dei quali è costituita da 20-34 enni. Di questi, due su tre possiedono istruzione medio alta.
In termini sociali, economici e culturali, oltre che demografici, questo trend crea un deficit non recuperabile nella popolazione economicamente attiva e la fuga dei cervelli è definitiva.
Fin qui i dati odierni: sul domani, se nulla dovesse cambiare, le previsioni degli studiosi sono a tinte fosche: l’Italia entro il 2040 potrebbe perdere 15 milioni di abitanti per i più pessimisti, 5 milioni per chi immagina un concatenarsi meno rapido degli eventi. Si può forse compensare tutto ciò pompando dosi massicce di immigrati dal terzo e quarto mondo nel nostro paese come taluno afferma? Innescando peraltro una bomba sociale, con implicazioni sociali, culturali, religiose, identitarie, impensabili?
No, un Italia conscia di se stessa dovrebbe ristabilire un patto di fiducia e cittadinanza con i suoi figli, creare una politica per la famiglia, per la natalità, per il lavoro ed il futuro, per la tutela dell’identità, della lingua, della cultura, dell’arte, dell’ingegno, del “made in Italy”, dell’innovazione, della solidarietà. E governare i flussi migratori, perché non può essere una qualsiasi Carola Rakete a decidere per noi. Ci sono 60 milioni di oriundi italiani nel mondo, molti si trovano ora in paesi che vivono crisi durissime (pensiamo al Venezuela ad esempio) e prenderebbero volentieri la via del ritorno alla madrepatria se l’Italia volesse sapesse accogliere quest’Italianità di ritorno.
Noi crediamo che si possa e si debba fare. Da uomini responsabili. Da patrioti.
twitter@robertomenia
.molto interessante e si potrebbe aggiungere altro..
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