L’approvazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) è diventato uno dei dossier “caldi” per l’amministrazione Obama che ad inizio ottobre ha siglato l’analogo TPP (Trans-Pacific Partnership) che riguarda il libero scambio tra l’America ed 11 stati dell’area “Asia-Pacifico” e che viene considerato come una mossa anti Cina visto che ne fanno parte Paesi come il Giappone ed il Vietnam ma non il paese della grande muraglia.
Dal momento che le esistono alcune difficoltà per i produttori Europei che vogliono entrare nel mercato Nord Americano il TTIP, che ha come suo obiettivo quello di abbattere dazi e dogane, rappresenta una grande opportunità per il vecchio continente che si troverebbe ad avere un commercio più fluido e con meno barriere protezionistiche da parte di quello che rappresenta il più importante e stabile mercato del mondo. Per l’Italia in particolare l’approvazione del TTIP rappresenterebbe un’enorme possibilità di crescita per le piccole e medie aziende che ad oggi, pur producendo prodotti ricercati ed apprezzati dall’altra parte dell’oceano, non hanno le risorse necessarie per poter affrontare una politica di commercializzazione in Nord America.
Questo è il lato “positivo” della medaglia che si scontra con le teorie di chi invece si oppone al TTIP. Una battaglia, quella contro l’accordo, che vede lottare insieme entità politiche trasversali, dal Movimento 5 Stelle a pezzi di destra e di sinistra, accomunate dal vedere nel TTIP un’azione al sevizio dell’imperialismo statunitense e poco conta che dell’accordo faccia parte anche il Canada. La lotta dei “NO TTIP” è contro il governo di Washington reo, secondo loro, di voler colonizzare il mondo e creare dei “blocchi” geopolitici da utilizzare nelle proprie guerre (armate e non) contro Russia e Cina.
Secondo Luigi De Biase, giornalista del Foglio, la nuova politica commerciale americana alla base dell’accordo è più una strategia per contrastare la Russia che la Cina, considerata meno pericolosa e vista ancora come potenziale partner. Per l’Italia, dice a Prima di Tutto Italiani, “non ci saranno vantaggi o svantaggi specifici, gli stessi saranno diluiti in un contesto di Unione Europea. Quel che è certo è che i vantaggi che ci saranno per l’Unione Europea, e quindi per il nostro Paese, rischiano di dipendere dalla volontà americana”. Se l’Europa dovrà trarre un plus e in che percentuale, questo sarà deciso dall’altra parte dell’Oceano. Per De Biase più che concentrarsi sul TTIP, l’Italia doveva “preoccuparsi di ricostruire i rapporti commerciali con la Russia, un mercato fondamentale per moltissimi settori della nostra economia e messo in crisi per via delle sanzioni inflitte dall’Unione Europea, e di costruire una nuova rete commerciale con i Paesi del Mediterraneo”.
Non un no a priori verso il TTIP, come quello di alcune voci provenienti da destra, da sinistra e dai grillini, da cui De Biase si sente lontano, ma un’analisi economica, supportata da numerosi studiosi ed auspicata anche dall’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi, che vede per l’Italia un ruolo da protagonista al centro dell’economia mediterranea. “Ripartire dai residui della Primavera Araba”, aiutare i Paesi coinvolti a ricostruire la propria economia e “creare un nuovo mercato mediterraneo” che permetta all’Italia di acquisire quell’autonomia che le consentirebbe di non allinearsi eccessivamente alla politica americana e di potersi rapportare in modo autonomo con Paesi come la Russia e la Cina.
Un’autonomia che l’Italia e l’Europa dovrebbero conservare perché, conclude De Biase, “gli Stati Uniti hanno ancora una visione protezionistica accentuata e di certo non cambieranno idea in poco tempo e non permetteranno all’Europa di dettare le regole del gioco in quello che, con l’approvazione del TTIP, diventerà il più grande mercato economico del mondo”.
L’analisi di De Biase fa riflettere sull’utilità di puntare sul TTIP ma dando ormai per scontato che verrà approvato, nel silenzio e nell’indifferenza dei più, uno dei settori di libero scambio che maggiormente preoccupa le aziende europee, ed in particolar modo quelle italiane dell’ agroalimentare. Infatti come si può trovare un accordo tra le politiche americane che prevedono l’uso di ormoni, di allevamenti a batteria, di trattamenti al cloro e quelle europee che vietano tutto ciò? Se poi pensiamo che già l’Unione Europea al suo interno non ha una normativa unica per quanto riguarda l’uso e la commercializzazione degli Ogm, diffusissimi in Nord America, possiamo essere certi che nella redazione finale del TTIP verranno tutelate la genuinità e la qualità dei nostro prodotti a fronte del basso prezzo offerto dalle multinazionali americane?
Di certo se immaginassimo un futuro contrasto tra le grandi multinazionali americane e le piccole aziende europee ed italiane capiremmo che uno dei punti fondamentale del TTIP sarà anche quello di prevedere una Corte arbitrale internazionale autonoma, capace di far applicare le proprie sentenze e di tutelare tutti. Ad oggi intorno al trattato vi è una certa foschia che lo avvolge e gli dà quel senso di “complotto”, ma ormai per scoprire la versione definitiva del TTIP manca davvero poco. Obama infatti vorrebbe approvarlo prima della fine del suo mandato ma se non dovesse riuscirvi di certo la firma del trattato sarà uno dei primi atti del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.
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