di Francesco De Palo
Non c’è solo una tonnellata di incertezza ad accompagnarci fino alle prossime elezioni europee di maggio. Ma anche la consapevolezza che lo schema fin qui osservato da tutti i contendenti è destinato a mutare, forme e contenuti.
La crisi del Ppe e del Pse, mescolata all’incapacità della socialdemocrazia europea di affrontare le nuove sfide della globalizzazione, stanno producendo una serie di effetti a cascata che potrebbero riverberarsi nelle urne. Se al primo posto del prossimo europarlamento dovrebbe confermarsi il Ppe, salvo sorprese, è sul resto del podio che si gioca la partita vera. Il Pse è entrato di fatto in un tunnel valoriale e leaderistico certificato.
Basti pensare che in Germania i socialisti, spaventati da un sondaggio che li danno in Baviera addirittura al 6%, hanno scomodato il duo non più freschissimo Gabriel-Schulz per sostituire la segretaria Andrea Nahel, mentre i Verdi volano al 20% e i nazionalisti di Afd restano al 10%. In Francia la parabola sciapa di Macron si mescola all’imbarazzo di non riuscire capire esigenze e perimetro dei gilet gialli.
E i lacrimogeni non c’entrano affatto. Mentre in Inghilterra le ricette vetero-ideologiche di Jeremy Corby (con la proposta di università gratis per tutti) lasciano il tempo che trovano.
E se dietro il Ppe si piazzasse il polo sovranista? In quel caso cosa accadrebbe alla nuova Commissione, e agli equilibri interni di chi già si sentiva in tasca un altro quinquennio di larghe intese?
Certo, non resta che attendere, ma al di là di come andranno le percentuali, va cerchiata in rosso la grande falla dell’attuale Ue, che non ha un sogno da vendere ai cittadini.
Mentre il resto del mondo ha innescato la quarta e corre verso la meta.
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