Italia e Balcani: voglia (e diritto) di protagonismo

di Roberto Menia

La voglia di protagonismo italiana nel Mediterraneo allargato e nell’Adriatico è un fatto assolutamente positivo: lo dimostra la visita del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Algeria, in parallelo alla sua missione triestina, la visione dell’Italia come possibile polo energetico e la visita in Libia. Mi riferisco all’idea di immaginare l’Italia come una sorta di piattaforma logistica proiettata sul Mediterraneo intero e sul Mediterraneo esteso.

Circa la parte adriatica sappiamo infatti che, nei Balcani occidentali vi sono una serie di Paesi che intraprendono un faticoso cammino verso l’Europa, comunque pieno di contraddizioni e di punti di domanda. Partiamo dal Kosovo. Su questo sono felice di poter dire che la presenza italiana è fondamentale e che non ce ne sarebbero altre: serbi e kosovari apprezzano entrambi la nostra presenza ed è stato corretto che due Ministri, della difesa e degli affari esteri, si siano presentati sul campo. 

Siamo dunque oggi a vigilare e a presidiare un campo che è potenzialmente una bomba atomica: sappiamo che i Balcani sono storicamente la santabarbara d’Europa e il nostro contingente è proprio lì, a Kosovo Polje, e chi conosce la storia sa cosa significa quel luogo per la cristianità ortodossa e per i serbi. I serbi guardano a noi italiani con una simpatia diversa da altri, che ci tutela e tutela loro stessi, a cui peraltro dobbiamo essere molto attenti. Recentemente ho visitato Belgrado dove i cittadini non hanno dimenticato i bombardamenti Nato del 1999. Nella città ricostruita dopo i bombardamenti vi sono solo bancarelle piene di tute mimetiche con la “Z” di Putin e di ritratti enormi di Putin. A proposito di attori che si introducono in quelle zone, essi percepiscono la Russia come la madre che li tutela. Parlano la loro lingua, fanno il segno della croce come noi, ma verso sinistra, essendo ortodossi, e scrivono in cirillico.

Ci sono poi pericoli da segnalare, che è giusto tenere presente, in Kosovo, in Albania e nella Macedonia del Nord. Mi riferisco alle infiltrazioni di uno jihadismo pericoloso, anche in quei Paesi. Dunque sappiamo che abbiamo a che fare con dei Paesi che, se entreranno in Europa, lo faranno con la loro situazione attuale. Pensiamo all’Albania, che oggi non è più quella che noi conosciamo, non è l’Albania di Skanderbeg, ma ha il 57 per cento di popolazione islamica. Sappiamo come lavora la Turchia, in tutti i Balcani; sappiamo come lavora l’Arabia Saudita nei Balcani; sappiamo che ci sono infiltrazioni salafite pericolose, tanto nel Kosovo, quanto in Albania e nella Bosnia, che è un’altra bomba innescata da sempre. Pertanto guardiamo con estrema attenzione a tutto questo. È positivo quello che sta succedendo: la tensione si è un po’ abbassata, ma è sempre pronta ad esplodere.

Guardiamo poi al vicino Montenegro, che oggi vive una crisi politica, ma stiamo attenti: lì c’è una gran voglia d’Italia. L’italiano in Montenegro è una lingua curriculare: a scuola si studia come terza lingua. Sarà che ci vogliono bene, per la regina Elena e per tante altre cose. L’ultimo gonfalone di Venezia, nel 1797, fu sepolto sotto l’altare di Perasto, nelle bocche di Cattaro, in Montenegro. In Montenegro ci guardano con attenzione: quindi curiamolo bene. Dico questo pensando alla strategia geopolitica di penetrazione italiana di tipo industriale, culturale e linguistico, con la consapolezza che la promozione della lingua resta fondamentale.

C’è una presenza storica italiana su tutta la costa adriatica, fino a quelle zone. Pensiamo all’Albania e al fatto che a Durazzo cento anni fa si parlava italiano e pensiamo ad Antivari. Tutti guardavano la televisione italiana e il 90 per cento della popolazione albanese parlava italiano. E’vero, in questi ultimi vent’anni abbiamo perso terreno: è bastata una generazione. Su questo dovremo investire, perché la lingua e la cultura italiane sono uno strumento di penetrazione enorme.

Questo vale per l’Albania, ma anche per il Montenegro. Il Montenegro, per esempio, poteva scrivere Crna Gora sulla targhetta internazionale, ma ha deciso di scrivere MNE, cioè Montenegro, scritto in veneziano: sono tutti fatti che qualcosa significano.

Ma non è tutto perché ampio risalto merita la rotta balcanica e come va gestita: essa si riaccende e riparte quando Erdogan decide di farla ripartire. Così gioca la Turchia anche in quello scenario. Quanto ai Balcani allargati, dal 1° gennaio la Croazia, che è fuori da questo quadro, ma è vicinissima, è diventata frontiera dell’Europa ed è già entrata nello spazio Schengen. Sono tutte questioni che rappresentano elementi di problematicità, ma anche di forza, per indurci a riflettere su come lavorare con lo stesso spirito dimostrato dal Governo. 

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