Lavrov incontra Di Maio, ma poi chiama Prodi

di Paolo Falliro

Non era necessario essere presenti alla conferenza stampa congiunta tra i ministri degli esteri di Russia e Italia per accorgersi di un’evidenza, ormai sotto gli occhi di tutti. La differenza, formale e sostanziale, tra parole e strategie di Sergei Lavrov e Luigi Di Maio è protofanica. Si tratta di due modi e di due mondi distanti e distinti, che non potranno incrociarsi né parlarsi.

L’indiscrezione uscita nei giorni scorsi di un contatto tra Lavrov e Romano Prodi aggiunge sostanza a tali preoccupazioni. Mosca, così come altre cancellerie, è ben consapevole che Mario Draghi ha commissariato il nostro ministro degli esteri, guidando di fatto i dossier internazionali. E parla con il premier, per poi cercare altre interlocuzioni così come fatto da Lavrov (apparso gonfio e un po’provato) con il professore bolognese. Ma proprio per questa ragione, appare un controsenso consentire a Di Maio di occupare ancora quella poltrona così delicata e spinosa.

La delicatezza dei dossier sul tavolo della Farnesina non consente sottovalutazioni o giri di parole come quelli mostrati alla stampa dal ministro italiano. Un particolare ha attirato l’attenzione di alcuni corrispondenti stranieri. Dopo le dichiarazioni ufficiali, che Di Maio ha letto interamente, mentre Lavrov mostrava pochi fogli di spunti, è stata la volta delle singole domande. A quella sull’Afghanistan Di Maio ha risposto rileggendo un pezzo del suo discorso.

L’eccezionalità della situazione internazionale imporrebbe un passo indietro, non fosse altro che per evitare di sommare inesperienza e insissistenza ad una congiuntura già di per sé complessa. Quando la politica era fatta anche di sezioni, centri studi e giornali si badava molto alle singole aree tematiche, in cui indirizzare quegli esponenti che nel tempo avrebbero ricevuto una formazione ad hoc. Qualche partito oggi lo fa ancora. Mentre i movimenti liquidi e senza spirito preferiscono bearsi del proprio nulla. 

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